Giovani EnergieL’incompresa strategia petrolifera della Cina

Alla vigilia della più grande acquisizione di Pechino mai operata in terra straniera (tra Cnooc e la canadese Nexen), il mondo economico occidentale si è affrettato a esprimere il suo giudizio sull...

Alla vigilia della più grande acquisizione di Pechino mai operata in terra straniera (tra Cnooc e la canadese Nexen), il mondo economico occidentale si è affrettato a esprimere il suo giudizio sulla strategia energetica cinese.
Il solo sviluppo economico del paese e’ di fatto sufficiente a spiegare la crescita della domanda interna di petrolio. Purtroppo per noi però, soltanto in pochi hanno provato davvero a guardare alla concreta strategia energetica di Pechino, liberi da metri di giudizio limitatamente-occidentali.

Nella mia esperienza, se c’è una cosa che ho imparato vivendo (da italiano) in una famiglia cinese, quella é il comprendere che la Cina non è soltanto un’ennesima super-potenza arrivata ad avere i suoi decenni di gloria. La Cina è per sua vocazione, e vuole essere per sua ambizione, l’unico modello internazionale realmente concorrente a quanto l’Occidente rappresenta.

La storia moderna degli investimenti energetici cinesi fuori confine é nonostante tutto una storia recente, forse troppo recente per essere analizzata con dovuta estraneità. Soltanto negli anni ’80, con lo smantellamento del ministero del petrolio, le tre giganti (Petrochina, Sinpec e Cnooc) hanno potuto operare con un po’ di indipendenza commerciale. Progressivamente, ma ancora solo parzialmente, tutte e tre si sono aperte agli investitori stranieri listando i loro titoli nelle borse di Hong Kong e New York.

Tra le tre, Cnooc è stata la più repentina nel suo processo di internazionalizzazione – forse facendo virtù della necessità di guardare altrove, per l’inesperienza dei cinesi negli investimenti offshore su cui questa e’ proiettata. Comunque sia andata, Cnooc é oggi di diritto una major energetica mondiale, con investimenti in Canada, Nigeria, Uganda, Argentina, Iraq e Indonesia.

Grazie a questo suo status, oggi, a differenza di ieri, l’espansione cinese é guardata con dovuto rispetto dalla stampa americana. Accade quindi che il Financial Times dedichi un intero reportage a Cnooc, e la stessa ‘Foreign policy’ commenti la sua prossima acquisizione canadese con un forte articolo dal titolo “L’investimento cinese non e’ una minaccia” (“China’s Oil Investment Is Not a Threat”).

Ma soltanto qualche anno prima, i commenti verso l’espansionismo cinese furono molto diversi. Nel 2005, quando la stessa Cnooc cercò di acquistare l’americana Unocal, l’intero mondo industriale e politico americano vide l’offerta come una minaccia per la sicurezza nazionale di Washington. Si preferì allora facilitare un’offerta della rivale Chevron, nonostante questa fosse evidentemente meno vantaggiosa per gli azionisti di Unocal.

Aprendo le porte agli investimenti cinesi, gli Stati Uniti potrebbero non soltanto rinforzare la salute economica del settore, ma persino guadagnarsi un importante alleato nelle decisioni energetiche mondiali. Poco importa ricordare che le risorse statunitensi (come quelle canadesi) rimarranno comunque sotto la protezione dei loro paesi di appartenenza.
E a poco serve ricordare che mentre l’America (e supinamente l’Europa) ha imposto un embargo commerciale verso l’Iran, la Cina ha di fatto mitigato il successo della politica di Washington – permettendo che le aziende cinesi diventassero i primi operatori stranieri a Teheran, con oltre 425 000 barili di petrolio al giorno.

La Cina e’ stata capace di impressionare il mondo con oltre 20 miliardi di dollari investiti dai tre player cinesi in acquisizioni straniere nel solo 2011. E ben oltre 15 miliardi di dollari è quanto Pechino, in 100% di denaro contante, è oggi disposta a pagare per il suo nuovo partner canadese.

Ebbene, oggi come ieri il commento più diffuso è che la Cina (e in particolare Sinopec) sia in effetti inefficiente nella sua strategia di spesa. In poche parole, stia strapagando i suoi acquisti. Si tratta quindi di una politica scellerata, o forse ci sarebbe molto più da spiegare se solo provassimo a guardare alla Cina alla luce del suo (e non del nostro) modello di sviluppo?

Se facciamo riferimento a ogni buona convenzione di bilancio, si può ben dimostrare che apparentemente il premio di prezzo pagato dalle compagnie cinesi nei loro acquisti sia in fondo eccessivo. Per citare un esempio, se si applicasse la vecchia regola di prezzare a $8 ogni barile di riserve in una acquisizione, i 20$ offerti da Cnooc per Nexen sembreranno un’assurdità.

Ci sono invece tre buoni motivi per comprendere la razionalità strategica di Pechino.

Innanzitutto, l’ingente quantità di energia necessaria nel breve periodo, a causa dell’incredibile tasso di crescita del paese e della scarsa “aspettativa di vita” delle attuali riserve, non consente altra scelta che quella di proseguire in una strategia di acquisto. Sebbene infatti ogni investimento in esplorazione o sviluppo sia meno dispendioso, la Cina non può permettersi il lusso di attendere i 10 anni in media necessari per il compimento di questi progetti alternativi.

Secondo, la paura protezionistica americana non sembra avere molto senso in un mondo dove la Cina può vantare numerosi partners strategici. Analizzando le maggiori transazioni degli ultimi anni, è incredibile notare quanto sia stata efficace la differenziazione geografica operata. Tra le più rilevanti: Sinopec acquistando il 30% di Galp Energia e il 40% di Repsol in Brazile; Cnooc acquistando OPTI e Nexen, Petrochina acquistando il 20% di Shell’s Groundbirch in Canada; e infine Sinopec acquistando il 49% degli assets di Talisman Energy nel Mare del Nord.
Ricordando la solidità della posizione economica dei tre acquirenti, si potrebbe addirittura forzare un paragone ai giorni in cui le paure di Washington fecero scappare in mano alla concorrenza (allora tedesca e francese) gli ingenti danari del nucleare persiano.

Terzo, il vero motivo degli investimenti strategici di Pechino è la conoscenza. Come sanno bene i negoziatori finanziari della City di Londra o di Bay Street, l’elasticità di prezzo offerta dai cinesi e’ condizionale al mantenimento del management operativo delle aziende. Di ulteriore esempio sono i recenti deal fatti nel campo delle risorse non-convenzionali, dove la Cina proverà presto a sfruttare le sue ingenti risorse interne.

Alla luce di tutto ciò, sembra in fondo doveroso includere un “fattore C” (se non una intera visione strategica) nel giudicare la validità degli investimenti cinesi nel settore Oil&Gas. Comunque la si pensi, e pur mantenendo la visione di un investitore occidentale, il premium di prezzo pagato dalla Cina può risultare favorevole non soltanto alle casse delle società acquistate, ma per chiunque di noi saprà investire nelle prossime prede di Pechino.

X