WildItaly.netL’indefinibile magma italico

Probabilmente, rispetto a quella che si è appena conclusa, nessuna settimana può meglio fotografare istantaneamente l’incertezza che caratterizza il futuro politico dell’Italia. I fatti che si sono...

Probabilmente, rispetto a quella che si è appena conclusa, nessuna settimana può meglio fotografare istantaneamente l’incertezza che caratterizza il futuro politico dell’Italia.

I fatti che si sono succeduti negli ultimi sette giorni, hanno solo confermato tutti i dubbi sul prossimo assetto del Belpaese, ormai a soli sei mesi dalle elezioni politiche di aprile 2013. Resta però un’indiscutibile evoluzione della situazione, politica e non.

Prendete l’esito delle elezioni in Sicilia, con la vittoria dell’astensione (al 53%) e di Grillo (primo partito/movimento col 14% dei votanti) che hanno reso solo formale quella dell’alleanza Pd-Udc guidata dal nuovo presidente, Rosario Crocetta: grazie anche alla significativa astensione della mafia, il trend nazionale, soprannominato dai media «antipolitico» (ma sul termine confronta l’interessante post del blog di Grillo) e problema principale nelle possibili previsioni politiche, ha trovato la sua conferma nella regione più particolare.

A proposito del fronte «antipolitico», considerate poi la solita agitazione all’interno dei 5 stelle per le comparsate in tv e, soprattutto, la prossima dissoluzione dell’Idv. Quest’ultima, causata ufficialmente dall’inchiesta di Report, pare riconducibile soprattutto alla riapertura dell’asse Di Pietro-Grillo, inviso a molti esponenti del partito e visto da alcuni giornali come una vera e propria alleanza, addirittura da incarnare nel nome di Antonio Ingroia: siamo evidentemente alla fantapolitica (gli elettori del Movimento 5 Stelle non sono solo ex dipietristi, ma anche berlusconiani e leghisti delusi: figuriamoci se lo voterebbero ancora dopo un accorpamento con l’ex pm), ma tant’è, il giornalismo italiano purtroppo è soprattutto questo.

Passando al partitismo classico, abbiamo registrato in questi sette giorni la riapertura delle primarie del Pd a Vendola (prosciolto nell’udienza preliminare dall’accusa di abuso d’ufficio) e la prosecuzione dello scontro tra renziani e bersaniani sulle regole per la competizione, con una prima vittoria del sindaco di Firenze per la privacy degli elettori.

Mentre però continuano i colpi bassi tra i diversi candidati, restano i dubbi sulle alleanze e sui programmi, ancora tutti da chiarire nonostante, nell’ottica del potenziale elettore, le primarie si giochino essenzialmente su questi due aspetti.

Per le strategie del centrodestra, dopo l’intemerata berlusconiana di sabato scorso più o meno smentita grazie al solito mattone vespiano, appare decisivo l’election day di fine gennaio per Lazio, Lombardia e Molise: se la tendenza siciliana verrà confermata o, peggio, aggravata, è facile infatti pensare ad un irrigidimento degli scontri interni, con l’inasprirsi della divisione tra i fautori del Monti-bis (Frattini&co.) e i falchi che rivogliono Berlusconi in primissima linea (Santanchè&co.), sempre che le due fazioni possano essere ancora assieme dopo le primarie di dicembre.

Chiudendo con la politica, questa settimana ha confermato la pressoché totale inutilità del governo tecnico, continuamente difeso a spada tratta da Napolitano: che sia per una sua incapacità (come confermerebbe l’incredibile vicenda dei fondi per la Sclerosi laterale amiotrofica) o per i diktat parlamentari (si veda l’innocuo ddl anticorruzione, approvato in via definitiva in quanto inutile), le sue leggi entrate in vigore nel corso di questo primo anno di vita hanno lasciato irrisolti i grandi problemi dell’Italia. Il Belpaese ha infatti migliorato la sua situazione rispetto al periodo precedente la caduta di Berlusconi solo grazie ai soliti noti, cornuti e mazziati con l’aumento delle tasse e della soglia dell’età pensionabile, tutti ancora in attesa che a pagare queste crisi – non solo quella economica degli ultimi quattro anni, ma anche quella etica degli ultimi venti – siano i veri responsabili.

Resta come unica vaga risposta positiva per questa settimana l’ennesima bozza per l’effettivo riordino delle province, da anni sempre sul punto di morire, ma alla fine sempre salvate: vedremo se almeno i tecnici riusciranno ad eliminarle definitivamente.

Rimane infine da evidenziare sul piano industriale l’evoluzione della vicenda Fiat, con la lieta novella dell’isolamento del tanto lodato Marchionne per la rappresaglia contro i suoi operai di Pomigliano seguita al reintegro degli iscritti alla Fiom (ottimo al riguardo lo sketch di Crozza) e la vittoria del sindacato guidato da Landini, che ora deve stare attento a non farsi schiacciare dai suoi nemici (la politica sostenitrice del governo Monti e gli altri sindacati, entrambi fautori fino a ieri del modello Marchionne).

La situazione, impensabile anche solo qualche mese fa, apre a nuovi scenari tutti da sondare, discorso valido anche per tutto quanto appena scritto.

Pur con la conferma delle vecchie magagne italiane (ad esempio con la vicenda del «corvo» sugli appalti del Viminale, evidentemente da approfondire), appare evidente come questa settimana si sia differenziata dalle altre per una serie di fatti che, messi in fila l’uno dietro l’altro, confermano l’esistenza di un cambiamento della situazione italiana. Che sia o meno positivo, non lo si può ancora dire, dati i continui colpi di scena che caratterizzano la nostra politica: continuando a registrarli e ad analizzarli, possiamo solo attendere l’evoluzione degli eventi.

ALESSANDRO BAMPA

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