Staremo a vedere domenica sera se il famoso monito nenniano “piazze piene, urne vuote” troverà conferma o una prima smentita, quello a cui ieri abbiamo comunque assistito nella rossa Perugia dove “Tutti per Bersani” son proprio tutti, è stato qualcosa che racconta benissimo del film che rappresentano queste Primarie del centro-sinistra, per la prima volta nella loro storia veramente contendibili, ed è lo scontro antropologico, culturale, mediatico ed economico tra due mondi, quello della sinistra storica tradizionale nella sua diversa gradazione bersaniana e vendoliana, e l’ipotesi “altra” di forte ed autosufficiente matrice liberaldemocratica blairiana che viene dal sindaco fiorentino con la faccetta impertinente.
Che i due mondi siano così diversi da pensarli incompatibili lo capisci subito arrivando al Centro Congressi Capitini che aspetta il suo eroe; tremila posti esauriti mezz’ora prima dell’inizio, code all’uscita con tanto di vigili urbani richiamati agli straordinari per regolare il traffico e poi giovani, tanti giovani, di quelli che nei circoli o nelle feste del Pd se ne vedono proprio pochi.
L’attesa dell’evento ribalta tutte le liturgie della politica; musica rock sparata negli altoparlanti, un sodale intrattenitore impegnato a chiedere di alzare o abbassare le mani come ad “Ok, il prezzo è giusto!”, poche le voci di saluto iniziale e anch’esse rigorosamente “green”, a partire dalla coordinatrice perugina Lavinia Pannacci, segretaria del circolo del tormentato centro storico cittadino, e da Diego Guerrini attuale sindaco “bianco” dell’ex Stalingrado umbra Gubbio, per anni governata da Orfeo Goracci con un monocolore rifondarolo crollato solo sotto i colpi di un’inchiesta giudiziaria che ipotizza abusi d’ufficio e metodi da “zar” nei rapporti coi pubblici dipendenti.
Diego Guerrini per segnare in maniera visibile a tutti, specie in ambito curiale, che quell’epoca era finita tra i suoi primi atti decise di abrogare il “registro delle convivenze civili” voluto dai suoi predecessori; ora il trentenne primo cittadino sta con il Renzi che mette le Civil partnership al centro del suo programma; snodi lessicali e piccole ma non poco imbarazzanti incongruenze, come quella solare data dal fatto che primo sponsor regionale del sindaco fiorentino che vuole rottamare anche le province sia quel Marco Vinicio Guasticchi, Presidente della Provincia di Perugia,che per salvare il suo Ente ha puntato i piedi fino al rischio dello scontro istituzionale.
Ma tant’è il ciclone Renzi attira su di sè tutte le luci, gli ospiti anche illustri in platea (tra tutti il re del cachemire umbro Brunello Cucinelli e la vedova dello storico dirigente del Pci locale Umberto Pagliacci, un colpo teatrale questo che vale anche un gancio all’apparato rosso del partito e alle sue memorie), sono tutti spettatori di uno show dove di politica ce n’è proprio poca (“Dai,andate sul sito a leggere il programma”, ripete Renzi), ma va in scena un karaoke di legittimi malumori, concentrati in un’esplosiva miscela di escatologia palingenetica e millenaristica, dove basta nominare i nomi di Bertinotti, della Bindi, di Mastella, per non dire di D’Alema, ormai un bersaglio “topico” della foga rottamatrice per scatenare urla e applausi da stadio.
Sfiora appena Renzi i temi più impopolari come il suo sostegno pieno alla riforma pensionistica della Fornero il suo entusiasta appoggio a Marchionne, il suo sostegno convinto alle proposte del professor Ichino che vorrebbe “stracciare non solo l’articolo 18 ma tutta la legislazione sul lavoro italiana”, ma poi riguadagna subito l’applauso scrosciante promettendo che nei primi cento giorni da capo del governo (legge elettorale permettendo) abolirà i vitalizi dei politici.
E’ la rabbia anticasta, canalizzata in una prospettiva istituzionale tradizionale il volano della popolarità e della forza di Renzi; di politica, si ha la sensazione guardando i suoi fans, se ne parla da lunedì, ora c’è da telefonare a più amici possibile per convincerli a votare, perchè qui non ci sono i capibastone del partito che ci pensano, e poi molti di loro ancora nel partito non sono mai entrati.
Che sia questa la forza, e forse anche il limite del renzismo, lo conferma anche l’ultima tappa del camper del Sindaco:”Domani (oggi per chi legge, ndr), chiuderò la campagna a Siena”, capitale del Monte dei Paschi e del dalemismo storicamente determinato ed economicamente debilitato.
Scegliere tra l’affidabilità della continuità di una classe politica che governa la sinistra da decenni, con tutto il suo campionario di deroghe assicurate ai parlamentari che vogliano chiederle, e la furia rivoluzionaria di un ragazzo che vuole mandare tutti a casa ma non fa un nome di un possibile ministro del suo governo.E’ questo l’out-out che il popolo di centrosinistra si trova davanti, con l’ala sinistra Vendola a sperare che tra l’alfa e l’omega delle variabili in tanti alla fine scelgano lui.
“Se perdo non accetterò nulla in cambio” dice partendo, e molti forse non lo voteranno per vedere se almeno lui in effetti è uno che mantiene le promesse, lui che comunque di coraggio ma anche di ambizione sincera, non finge di nasconderne nemmeno un palmo.