Un altro NordestNordest, SOS artigianato. Chiuse 5.244 imprese under 40

Il «futuro è artigiano» spiega l’economista Stefano Micelli autore del nuovo manifesto per una diversa industria italiana basata su una «virtuosa contaminazione tra lavoro artigiano ed economia glo...

Il «futuro è artigiano» spiega l’economista Stefano Micelli autore del nuovo manifesto per una diversa industria italiana basata su una «virtuosa contaminazione tra lavoro artigiano ed economia globale».

L’immaginario è stimolante e ha mille buone ragioni per essere accolto, rilanciato e sostenuto. Ma la realtà è inquietante. Oggi la Confartigianato del Veneto ha diffuso i dati aggregati nordestini. «Le nostre tre regioni sono tra i motori della giovane impresa artigiana del nostro Paese. Vi operano 84.505 imprenditori under 40 (pari al 13,8% del totale Italia). Imprese dinamiche, vocate all’export e alla internazionalizzazione, che danno importanza al marketing digitale e allo sviluppo della presenza aziendale sui nuovi media. Ma tutto ciò non è sufficiente – spiega la nota -. In un solo anno abbiamo perso oltre il 6% dei nostri giovani colleghi».

In cifre: 5.244 imprese sparite dal mercato. Chiuse.

Ed ecco altri dati: alla fine del 2011 in Italia si contano 614.115 artigiani con meno di 40 anni che rivestono cariche imprenditoriali. Deludono le quote di incidenza dei giovani sul totale imprenditori: solo in Veneto toccano quota 9.9%, in Friuli si fermano a 1,9% e sono in calo dal 2010 al 2011, complessivamente a Nordest, del 5,8% (-6,1% solo in Veneto).

Ma chi è il giovane artigiano made in Italy? Età media 35 anni, ha in mano un titolo di studio superiore o universitario. Il neo imprenditore utilizza in genere risorse proprie per avviare l’impresa. Tra i motivi ispiratori della scelta all’auto-impiego, la prosecuzione della tradizione familiare, che per molti viene prima dell’ambizione personale.
Meno gettonata la volontà di sfuggire alla carenza di posti di lavoro, che interessa solo due giovani su cento.

Se si uniscono i dati a quanto diffuso dalla ricerca presentata un anno fa da Ambrosetti a Vicenza sul mondo della subfornitura che si sta disgregando a Nordest, pur essendo qui tutte le fasi di produzione, la fotografia si fa ancora più cupa.
L’età media dei fornitori – stando al report – è attorno ai 50 anni: non c’è ricambio generazionale – nel 50% dei casi la leadership aziendale spetta ancora alla prima generazione – i giovani non entrano nei laboratori, si perdono competenze. I grandi, come Bottega veneta devono oggi richiamare in azienda i lavoratori pensionati per fare formazione, sennò si disperde il savoir faire.

Il caso Bottega Veneta è interessante: nell’ottobre 2006, l’azienda che dal 2001 è passata al Gruppo Gucci oggi parte della multinazionale francese PPR, ha creato una scuola interna, in collaborazione con la Scuola d’Arte e Mestieri di Vicenza che vanta radici nel XVI secolo. La formazione è gratuita per tutti gli studenti e i nuovi assunti, perché sostenuta dal gruppo. E i «professori» sono esperti artigiani con almeno 35 anni di esperienza.

Tutto il distretto del tessile-moda veneto guarda da tempo con interesse a questa iniziativa. Ma la realtà è che non tutti si possono organizzare come Bottega Veneta e, in qualche caso, si arriva a sentire ormai frasi come: «Il nuovo sistema pensionistico è ora un vantaggio, perché ci permette di trattenere risorse fondamentali per la produzione».

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