Lo scontro sulla data delle elezioni è un errore di prima grandezza che i partiti stanno compiendo di fronte all’opinione pubblica. Le ragioni di ciascuno dei contendenti sono comprensibili, lo è meno sia il fatto che la loro opinione in merito cambia di anno in anno sia il confronto fra questo dibattito e le ansie dei cittadini normali.
Siamo in una fase in cui la politica ufficiale o riesce a dar prova di collegamento con gli umori di chi vota oppure è destinata a farsi sopraffare da chi l’assedia dall’esterno. La storia d’Italia è piena di momenti in cui la politica ufficiale si è baloccata con le proprie liti e controversie ignorando quel che le accadeva intorno. C’è un bellissimo libro di Emilio Gentile, intitolato “E fu subito regime”, in cui si spiega, con una cronaca giorno dopo giorno, come l’avvento del fascismo fu il combinato disposto dell’abilità tattica di Mussolini ma anche dell’incapacità delle classi dirigenti di allora di cogliere i fermenti della società.
È ovvio che non siamo in un situazione analoga perché non c’è nessun aspirante dittatore alle porte, ma anche al giorno d’oggi si vede un gruppo di esponenti politici di primo piano che si combattono su una trincea che i cittadini considerano irrilevante. La ragione vorrebbe che si votasse prima possibile. Chi pensa di guadagnar tempo per sgonfiare Grillo non ha capito che la competition con lui si gioca su un periodo più lungo. Nell’immediato Grillo ha preso un vantaggio pressoché incolmabile che può addirittura accrescersi se i suoi avversari si mostreranno così ottusi.
Chi pensa ad un unico election day non ha torto e devo dire che la posizione del Pd al riguardo è difficilmente sostenibile anche se è chiaro che Alfano e soci vogliono evitare di far votare solo per le regionali perché sono svantaggiati dal fatto di avare giunte dimissionate per ragioni morali. Tuttavia se questa manfrina dovesse durare ancora a lungo tutti i contendenti ne ricaverebbero svantaggi. Il Pd avrebbe maggior forza se, rispettando le prerogative del capo dello Stato, si presentasse come il partito sicuro di sé, pronto a dare subito un governo politico agli italiani. Il prendere tempo non aiuta neppure Monti. Il suo governo sta assomigliando sempre più a quei governi balneari di impronta dc che si barcamenavano fra un’elezione e un’altra. I ministri scalpitano alla ricerca di futuro politico e lo stesso premier ogni giorno viene dato come leader di una lista, capo di una coalizione, futuro Cincinnato. Tutti giocano con il fuoco mentre sarebbe necessaria tanta chiarezza.
Di questa ha bisogno soprattutto il centro-destra perché il Pd fra qualche giorno avrà il suo leader o la coppia per il ballottaggio che lo eleggerà. A destra invece si sta giocando una strana partita al ribasso con Alfano logorato dal suo capo e dall’irruente Santanchè, nuovi nomi che finora appaiono improbabili e l’attesa che Berlusconi tiri fuori dal cilindro la carta vincente. C’è chi dice che potrebbe essere sua figlia. Lei nega. All’azienda non conviene una nuova esposizione in prima linea di uno dei suoi capi. Tuttavia la disperazione può spingere il vecchio Cavaliere a indurre la figlia a fare la sua discesa in campo. Non c’è dubbio che lei avrebbe più carte degli attuali esponenti del Pd ma le manca una cosa decisiva in politica, non ha sorriso. E un Berlusconi che non ride vale elettoralmente meno.