Luci basse, buio nello studio di X-Factor. I contendenti che salgono uno alla volta sul palco, introdotti dalla voce fuori campo di mille pubblicità. Un format inedito, lontano dai talk show formato saloon. Sorridono impacciati, si alza il sipario sul primo dibattito in Italia con regole e schemi all’americana: un minuto e mezzo a risposta e possibilità di replica. Serpeggia la domanda che conta di meno: «Chi vincerà il confronto?». E ancora oggi, commentatori d’ogni sorta si arrovellano nella ricerca di un trionfatore, una leadership forte per il centrosinistra e l’Italia. Quasi nessuno si domanda se i Fantastici Cinque, come da sfortunata parodia, siano in grado di governare assieme. Se siano il meglio dell’offerta politica a sinistra, o almeno uno specchio fedele delle sue innumerevoli sfaccettature.
Ma non sfuggo nemmeno dal piacere del classicissimo pagellone, in fondo non si può fingere che siano andati tutti allo stesso modo. Ognuno ha seguito un percorso diverso coerentemente al proprio stile. Per puro divertimento, in rigoroso ordine di postazione, ecco una carrellata dei top e dei flop della serata.
Tabacci – La sua è una prestazione senza grinta, quasi che già sappia di che morte deve morire. Posizioni troppo impopolari per una sinistra che ha bisogno di ritrovarsi sulla scia del progressismo europeo. Lo sa, e non fa nulla per porvi rimedio. Straziante il capitolo da libro Cuore sui diritti degli omosessuali: «Non penso che possano adottare un bambino. Quando ero piccolo, e avevo solo la mamma, mi vergognavo ad andare dalla maestra e far vedere che mi mancava la firma di un altro genitore sui compiti». Vince il premio per il peggior sostenitore: uno studente di economia a metà tra il costituzionalista Michele Ainis e Donna Summer. Sul finale, non invita nemmeno a votare per sé.
Voto: 5.
Puppato – E’ la meno conosciuta tra i candidati, e questo potrebbe giocare a suo favore, invece paga lo scotto della prima volta. La sua fama, fino al settembre scorso, non andava oltre il Triveneto dove prese una valanga di preferenze alle elezioni Europee del 2009, senza tuttavia essere eletta. Per l’emozione, fatica a tirar fuori la sua terza via di sinistra: Un’altra idea di mondo, il titolo del suo programma. Sfora il tempo di continuo e si fa riprendere più volte dall’accigliato moderatore. Nel finale chiede di non votarla in quanto donna, ma nel suo pantheon personale cita furbescamente Tina Anselmi e Nilde Iotti. Rimane, comunque, un’ottima risorsa per il Pd e per il centrosinistra tutto.
Voto: 6 e mezzo.
Renzi – E’ il più spigliato, l’imprinting di Giorgio Gori si vede tutto. Non risparmia stoccate alla concorrenza: «Sento dire che se vince Renzi finisce il centrosinistra. C’è chi crede alle profezie dei Maya, si può credere anche a D’Alema». Riesce a dire con precisione pochi messaggi convincenti. Il suo stile, spesso avvolgente e diretto, viene penalizzato dal poco tempo a disposizione per rispondere. Risulta comunque il più centrato, perfettamente a proprio agio nel contesto da show. La sua retorica dovrebbe essere presa d’esempio da tutti in Italia. Svicola le difficoltà, se la cava su Marchionne, si punzecchia con Bersani e Vendola sul finanziamento pubblico ai partiti, ma tutto sommato risulta il più convincente. Puntuale sulle alleanze: Pd e Sel, che di Casini ne abbiamo già abbastanza. Una prestazione solida.
Voto: 7 e mezzo.
Vendola – Come al solito, arriva. Mette in soffitta metafore e aggettivi, va dritto al sodo («Caro Marchionne, io non le ho mai creduto»), e aggiunge quel pizzico di umanità che è mancata a Renzi. Si autodefinisce, poeticamente, un acchiappanuvole, e fa trasparire di continuo il sogno di un’Italia diversa. Ci mette anima e corpo, quando parla di coppie di fatto è, giocoforza, il più convincente. Caduta di stile nel finale: tra le figure a cui si ispira cita solo il Cardinal Martini, evitando accuratamente di menzionare i mostri sacri della sinistra moderna da Berlunguer a Martin Luther King. Un calcolo strategico che ha tanto il sapore dell’occhio strizzato verso i cattolici di sinistra, tiepidi con Renzi e delusi da Bersani. La sua sostenitrice che confonde il nome dell’economista Oscar Giannino con un fiabesco Oscar Giannetto fa il pieno di simpatia.
Voto: 7 (e qualcosa..)
Bersani – Sguardo mesto nella prima parte, quasi si stia consumando uno psicodramma in diretta. Col passare delle domande si rianima, ma è ancora ben lontano dal tenere il ritmo del dibattito. Nessun guizzo particolare, fa da spettatore alle imbeccate tra Renzi e Vendola, una strategia che alla lunga gli avrebbe potuto giovare, ma che invece lo relega in secondo piano. Sembra stanco, impacciato, gli manca l’appeal del trascinatore, non ha il tempo di perdersi nelle metafore da osteria, il suo vero marchio di fabbrica («Siamo mica qui a smacchiare i giaguari»). Stesso errore di Vendola: del suo personalissimo Pantheon, cita solo Papa Giovanni (ce ne sono stati 23, che si tratti dell’ultimo è solo frutto di supposizioni ben corroborate). La pacatezza può rassicurare, la fiacchezza, casomai, assopisce.
Voto: 6
Manca un punto, volutamente o meno inevaso. Questi cinque saranno in grado di governare assieme il Paese? L’epoca dell’uomo solo al comando è finita, archiviata, stop. Cinque modi diversissimi di rappresentare la sinistra, questo è poco ma sicuro. E smettiamola con la solita litania di quelli che «chi non è con me è contro di me», e dunque, per la proprietà transitiva, un infiltrato dello schieramento opposto. Quelli che vorrebbero la sinistra piccola ed esclusiva, un club chiuso nel tentativo feticistico di riesumare un passato glorioso. Ridicoli. Ridicolo chi pensa di affrontare il futuro guardando indietro, come se la storia fosse sempre e per forza circolare. Essere di sinistra, oggi, non implica necessariamente l’adesione a questa o quella filosofia politico-giuridica vecchia di duecento anni. Non implica nemmeno buttar via tronco e radici per piantare un albero nuovo. Essere di sinistra, oggi, significa ragionare con la stessa logica delle cronometro ciclistiche: il tempo di squadra lo si misura sull’ultimo a tagliare il traguardo, non sul primo. Allo stesso modo, nelle società moderne, il benessere sociale non può essere rappresentato dalla la somma algebrica delle utilità individuali, ma come un filo rosso che collega chi sta su a chi sta giù. E che permette a chi sta giù di risalire i gradini della piramide sociale. Uguaglianza, merito e libertà. Il confronto di ieri ne è una rappresentazione plastica: nessuno mai si sognerebbe di mettere alla porta questo o quell’altro per una questione di accenti, di priorità.
Per vincere, la sinistra ha bisogno dell’irruenza di Renzi, della competenza di Bersani, della passione poetica di Vendola e dell’incanto un po’ sognante di Laura Puppato. Il valore aggiunto di Tabacci non lo conosco, confesso la mia terribile fatica a trovarlo. Ma, se su quel palco c’era anche lui, una buona ragione ci sarà pur stata. Stupido io che non la trovo.