MamboRenzi è il nuovo? Allora progetti qualcosa di più grande del ricambio generazionale

Mi intriga molto il ragionamento che ha fatto Massimiliano Gallo attorno alla possibilità di successo di Matteo Renzi e sulle conseguenze che questa eventuale vittoria comporterebbe. Massimiliano è...

Mi intriga molto il ragionamento che ha fatto Massimiliano Gallo attorno alla possibilità di successo di Matteo Renzi e sulle conseguenze che questa eventuale vittoria comporterebbe. Massimiliano è di testa vivace e di penna elegante e scrive cose che in tanti condividono. Il tema “Renzi” è indubbiamente suggestivo perché investe nodi storici della sinistra sia per quanto riguarda la sua natura sia per quanto riguarda la conformazione dei suoi gruppi dirigenti.

I lettori del Linkiesta sanno che non sono un sostenitore del sindaco di Firenze ma non voglio riproporre, qui e ora, le ragioni del diverso parere rispetto a quello di Massimiliano. In fondo siamo appena agli inizi di una nuova presenza politica e capiremo presto se si tratterà di un fuoco fatuo o di una leadership che si sta facendo avanti prepotentemente.

Mi interessa però ragionare attorno al tema che Gallo propone, e cioè attorno al fatto che solo con Renzi si produrrebbe quel big bang che metterebbe davvero in soffitta le vecchie culture. Avverto, infatti, che nella impostazione di Renzi, così come in quella degli altri competitor delle primarie, per non parlare del centro-destra tutto intero, vi è un deficit di cultura progettuale che non fa ben sperare.

Si tratta di questo. Sia Renzi sia gli altri propongono rimedi alla mala-politica senza prendere di petto i problemi del paese. Là dove ci sono state vere rivoluzioni politiche il tema all’ordine del giorno non è stato solo la riforma della politica ma prima di tutto la riforma della struttura del paese.

De Gaulle, per esempio, cambiò, dopo il trauma dell’Algeria, l’assetto istituzionale ma soprattutto immaginò una nuova Francia post-coloniale come potenza egemone in Europa e addirittura competitiva con gli Usa. Tony Blair non ha cambiato l’assetto istituzionale ma ha dato respiro ad una economia frustata dalle iniezioni di antibiotico della lady di ferro. Angela Merkel oggi si avvantaggia di progetti rivoluzionari che hanno consentito alla Germania di consolidare il suo primato economico. Voglio dire che ci sono passaggi in cui l’economia e la politica devono procedere assieme. Siamo invece sopraffatti dalle regole. Regole per il lavoro, regole per cambiare la rappresentanza e regole per convivere fra cittadini. Nessuno si preoccupa della regola principale: cosa, come e per chi produrre.

L’Italia post-resistenziale si occupò di tante cose anche di assoluto valore civile, con scontri memorabili, ma si occupò soprattutto di che cosa questo paese dovesse rappresentare nella divisione internazionale del lavoro e di quali mercati si dovessero difendere o conquistare. C‘è una rivoluzione culturale da fare oggi per immaginare la nuova Italia produttiva in cui, ad esempio un settore finora considerato di nicchia o marginale come l’industria agro-alimentare, può avere più mercato di altre proposte, in cui i settori tecnologicamente avanzati possono prendere quel primato produttivo che un tempo avevano le auto e i frigoriferi. Voglio dire che i cittadini si aspettano, lo dico con affetto: un po’ meno Ichino e un po’ di più Farinetti.

A Renzi, e mi rivolgo a lui perché lui dice di rappresentare il nuovo e Massimiliano Gallo gli dà credito, spetta dire che cosa l’Italia dei trenta-quarantenni di oggi deve essere nel mondo e solo da queste risposte potremo capire quale struttura politica deve prevalere. Invece si continua a discutere dei mali della politica da curare con medici-stregoni che si propongono al posto di quelli di prima. Noi sapevamo, come italiani, che cosa voleva dire nel dopoguerra De Gasperi o Togliatti, Di Vittorio o Valletta. Cioè sapevamo tutto dell’immaginario che queste presenze evocavano ma soprattutto sapevamo quale Italia avevano in testa. Sono cresciuto con i miei parenti sfortunati che andavano a fare gli operai al Nord e quelli che restavano a lottare per le fabbriche al Sud.

Oggi i giovani sono costretti a scegliere sulla base di una contrarierà verso questo o quel leader ma non sanno qual è l’Italia che potrà dare loro lavoro e dignità di cittadini. È anche colpa di noi giornalisti che non indaghiamo abbastanza nelle teste dei nostri uomini politici. È questo ciò che manca al dibattito pubblico. Vedo invece che il recinto via via si sta rimpicciolendo perché la nostra politica, mentre gli Usa decidono come daranno nei prossimi anni e la nuova leadership cinese lancia la sfida all’Occidente, si perde dietro i temi del proprio auto-referenziale ricambio.

Forse è vero che si potrà rottamare definitivamente sia la cultura della Dc sia quella del Pci ma il tema all’ordine del giorno non è questo da tempo. Il tema è cos’è l’Italia, se è una società che ha rinunciato a produrre e a convivere con un mondo radicalmente cambiato oppure, come accadde negli anni 50-60, sa trovare nuove ragioni per sopravvivere e affermarsi. 

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