Libertà è partecipazioneRenzi vince il confronto, ma il ballottaggio sarà di Bersani

Ieri sera il centrosinistra è riuscito ad incollare al televisore sette milioni di italiani, il che vuol dire solo una cosa: quando la politica si apre e include i cittadini rispondono. Nel confron...

Ieri sera il centrosinistra è riuscito ad incollare al televisore sette milioni di italiani, il che vuol dire solo una cosa: quando la politica si apre e include i cittadini rispondono.

Nel confronto pre ballottaggio ha vinto nuovamente Renzi, che è apparso più preparato, preciso e sveglio. Bersani, al contrario, è andato molto spesso in difficoltà, anche su temi delicati. Per esempio sul finanziamento pubblico il segretario è sembrato non avere argomenti per controbattere nei confronti del sindaco di Firenze. L’unica replica che ha ostentato è stata affidata alla solita frase:”La politica non possono farla solo i ricchi”. Fiorito e Lusi ne sanno qualcosa.

Sulla politica estera il segretario del Pd ha risposto con una frase ovvia, troppo ovvia:”In medio oriente il punto di fondo è il problema tra Israele e Palestina”, che tradotto vuol dire “due popoli due Stati”. Renzi invece ha ampliato il dicsorso ricordando a tutti noi (perchè in parte l’avevamo dimenticato) che esiste ancora un problema chiamato Iran e che fin quando non si risolve la questione iraniana, quella mediorientale sarà di ancor più difficile risoluzione.

Quando la Maggioni ha chiesto come risolvere la questione meridionale si è notata una grande differenza. Secondo Bersani la crminalità organizzata è la madre di tutti i mali del Sud, ha ragione, ma solo al 50% (a proposito definire il mezzogiorno un braccio malato è un errore di comunicazione che un candidato premier non dovrebbe commettere); Renzi ha parlato di meritocrazia, di cambiamento del sistema (basta con i “favori all’amico”) e della mancanza di investimenti nel capitale umano.
Su questo argomento la differenza è abissale: Bersani è a conoscenza che il suo consenso al Sud è composto dall’apparato, dalle clientele e dalle truppe cammellate, non si sarebbe mai sognato di attaccare quel sistema. Renzi, invece, non avendo apparato, ha cercato di smuovere quelle coscienze che non ottengono niente dal sistema di favoritismi che si è imposto al Sud.

Poi si è arrivati ad uno degli argomenti più importanti: l’istruzione. Bersani ha cominciato dicendo tutto e niente, mettendoci, qua e là, un pizzico di retorica sul diritto allo studio. Succo del discorso: la CGIL stia tranquilla, con Bersani a Palazzo Chigi non si corre il rischio di una riforma strutturale. Il sindaco del capoluogo toscano ha tirato fuori il problema meritocratico: chiunque abbia passato qualche tempo nella scuola degli ultimi anni, sa benissimo che non vi è meritocrazia. E allora perchè un insegnante più bravo deve valere quanto un insegnante che in classe legge il giornale?

I toni del confronto di ieri sono stati molto pacati, per non dire politically correct, anche se Renzi un paio di stoccate non le ha risparmiate. La prima sui 2547 giorni di Bersani al governo. La seconda sulla (molto) probabile riedizione dell’Unione (fallimentare) del 2006 se dovesse vincere il segretario del Partito Democratico.

E al 90% sarà così, Renzi rimarrà sindaco di Firenze e dovrà rimandare l’appuntamento con la conquista della leadership, consapevole di aver dato inizio ad un processo di rinnovamento, non solo del centrosinistra ma di tutto il panorama politico italiano. Bersani sarà investito della candidatura e la Bindi sarà lì, al suo fianco a festeggiare per la sconfitta dell’eretico. Loro festeggeranno, l’Italia piangerà, perchè da lunedì, parte la campagna elettorale di Bersani e dietro le quinte ci sarà la CGIL a porre i primi diktat.

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