Alla fine del travagliato spoglio delle schede elettorali sono tre i capoluoghi di regione in cui Pierluigi Bersani non ha conquistato la pole position: la prevedibile Firenze, bastione del suo diretto contendente, Bari, roccaforte vendoliana e infine Perugia, capoluogo dell’Umbria rossa, per decenni collegio elettorale blindato di Pietro Ingrao e poi di Walter Veltroni e che da ieri è sorprendentemente divenuta città satellite del capoluogo renziano fiorentino.
Nella città dove tutto l’organigramma amministrativo e politico del PD era davvero con Bersani (fatto salvo il Presidente della Provincia Guasticchi, il suo assessore Domenico Caprini e il sindaco di Gubbio Guerrini) il 46, 5% degli elettori ha preferito Renzi rispetto al 40,9% che ha messo la crocetta sul nome del segretario. Un vero e proprio tsunami politico se si considera la forza degli schieramenti in campo, la mobilitazione degli amministratori a favore di Bersani, a partire dalla giovane presidente della Regione Catiuscia Marini protagonista di più di 40 manifestazioni locali a favore del voto al segretario. Nella provincia ternana, segnata da annosi conflitti irrisolti tra l’anima ex postcomunista e quella postdemocristiana, è andata un pò meglio per Bersani ma anche lì, nella città operaia delle acciaierie il golden boy postmoderno fiorentino ha traguardato un impensabile 37% alla vigilia. Se questo è il dato si capisce perchè il comitato bersaniano abbia atteso la notte prima di dare un commento pubblico al voto e perchè lo abbia fatto mandando in trincea le giovani leve per difendere le traballanti posizioni.
Il fenomeno Renzi è piombato in Umbria su un partito in cui l’amalgama tra le due anime principali anime non si è ancora determinata in fatto, in cui lo stesso segretario regionale Lamberto Bottini due anni fa fu eletto a maggioranza relativa ad un passo dal voto regionale che segnò il tormentato abbandono “forzato” della “zarina” Maria Rita Lorenzetti, dalemiana governatrice per due legislature fino all’ultimo in trincea impegnata a cercare i voti per una deroga che le concedesse di fare eccezione alla regola statutaria regionale che prevede non più di due mandati a Presidente.
Il vento renziano è soffiato su una regione in cui i giovani laureati hanno poche possibilità di lavoro, dove si stenta a vedere un modello di sviluppo economico innovativo per il futuro, dove per decenni è stato forte il calmiere sociale rappresentato da quel pubblico impiego che con la spanding review offre sempre meno possibilità di ammortizzazione sociale, in una regione che sognerebbe un contatto diretto con la Toscana e con le Marche e che invece è spinta sempre più a guardare al meridione come termine di paragone.
Sarà interessante allora vedere al ballottaggio anche in Umbria cosa succederà; quello che è certo ad oggi è che c’è un 40% di elettori del PD che non aveva finora rappresentanza e che ora potrà avere la forza di chiederla, se solo un’eventuale sconfitta al fotofinish, magari determinata dalla confluenza su Bersani del voto vendoliano, non porterà all’implosione di un castello di buoni propositi chiamati ora alla prova della resistenza nel tempo, che è poi il quidche fa della politica un progetto.
Se Bersani vincerà come è probabile di tutto questo dovrà per forza tener conto, il partito plurale e aperto alla società e non solo terreno di scontro tra correnti dovrà nascere davvero; il paziente popolo di centrosinistra di aspettare ancora sembra non voler saperne più.