In scena ci sono due che fanno coppia da sempre, due che nell’immaginario della comicità di tradizione hanno incarnato forse al meglio la goffaggine dell’uomo in bilico e la drammatica inadeguatezza dell’ingenuità di fronte al mondo che cambia. Sempre quei due hanno assistito alla mutazione progressiva dei propri corpi e ora sono l’uno troppo magro e l’altro troppo grasso. Una questione di chili, che sembra delimitare l’argine di un insuccesso dettato da pose e gag che non funzionano più.
Juan Mayorga, acutissimo drammaturgo spagnolo, ridisegna le sagome di una coppia acclamata, Stanlio e Ollio, facendola ritrovare in una stanza d’albergo che non ha nome di spazio, né di tempo. La sospensione è la legge surreale che governa le vite di un duo un tempo allegro e che, nel giorno dell’anniversario, fatica a definirsi andando a incagliarsi nell’impossibilità di una “dicotomia” o “dualità controversa”. Lo specchio dietro cui si riflettono è impolverato e la bilancia che decide il riequilibrio dei loro grassi non funziona. Stanlio corre attorno alla stanza per tornare lo smilzo di un tempo e Ollio si rimpinza fino a scoppiare. Me nemmeno questo sforzo è ripagato, il telefono non squilla e la consolazione di vecchie riprese alla tv o film a colori è un palliativo dolente.
Mayorga non interrompe i rapporti di forza evidenti nella storia dei due, soprattutto quando si ribadisce che in ogni film è sempre Stanlio a prendersi gioco di Ollio. Entrambi abitano una camera di osservazione, la deriva di un isolamento oltre cui resta la possibilità di una separazione più o meno definitiva. Perché, prima o poi, la chiamata arriverà e ne sceglierà uno soltanto, annullando quella “e” tanto essenziale per Ollio a modellare l’unione e a evitare di riconoscersi come due impostori che si fanno passare per la coppia celebre. La rivalità con Chaplin è altrettanto dichiarata e curiosa, irrisolta come il bisogno divorante di tornare indietro e ristabilire tutto com’era prima dello scontro senza fine fatto di ricatti, ripicche e guantoni da boxe.
Se allora il dubbio che le vecchie scene nutrite di letture alte da Madame Bovary ad Anna Karenina non la spuntino mai sulle diete a punti, è anche la memoria a fare cilecca accanto alla legge del rendimento decrescente. Stanlio – un bravissimo Fabio Gandossi – solo alla fine mostra a Ollio una busta nascosta e piena di ritagli di annunci in cui non è richiesto di guadagnare o perdere chili per ottenere un lavoro. Eppure, l’ostinazione di Ollio – un altrettanto sensibile e tenace Emanuele Arrigazzi – fa il paio con il destino che chiama fuori dal gruppo proprio il compagno di una vita. Quei vecchi e nuovi atteggiamenti fuori dal presente, le prove di un gancio alla Chaplin rubato e mal riuscito sono i segni più prossimi di una ricorrenza che non va più festeggiata. Un anniversario che è una ferita insanabile, lontana dall’essere guarita con il trasferimento in un’altra città che farebbe assomigliare ancora di più il gruppo a un triste rimasuglio di fama.
La regia di Paolo Giorgio si pone a servizio del testo, evitando di percorrere il terreno accidentato di una dimensione ancora più visionaria, ma forse più addentro alla poesia di un copione ben adattato ai linguaggi da Allegra De Mandato. Una finestra è appesa al soffitto e il terrore della porta da cui proviene la minaccia della rottura pesa come un macigno sulle prime prove con le vere voci di Stanlio e Ollio. Là dove, a ben guardare, nessuna trama viveva nella bambagia, ma era già impregnata di parole e movimenti controversi.
20 novembre / 2 dicembre 2012
Teatro Filodrammatici Milano
STANLIO E OLLIO
due a teatro
di Juan Mayorga
regia Paolo Giorgio
con Emanuele Arrigazzi e Fabio Gandossi
costumi e oggetti di scena Valeria Ferremi
musiche originali Andrea Negruzzo
dramaturg Allegra De Mandato
produzione Aemilius srl | Band à Part