Da ammiratore del pragmatismo anglosassone, uno degli aspetti più sconcertanti della crisi italiana è la mancanza di ogni senso d’urgenza tra la nostra classe dirigente. Basta che i rendimenti dei BTP non tocchino il temuto 7% e ogni proposta di riforma strutturale viene diluita in un mare di chiacchiere e mezze misure. Negli Stati Uniti il dibattito fiscale è accesissimo nonostante il costo del debito sia ai minimi storici. E il declassamento della Francia, giustificato da Moody’s con le rigidità strutturali dell’economia e vent’anni di inerzia politica al riguardo, ci ricorda come non convenga mollare la presa.
Lascio perdere la spiegazione psicologica del fenomeno – l’indole italica porterebbe a risolvere i problemi solo all’ultimo minuto. I più ottimisti dicono che gli Italiani cascano sempre in piedi – il rapporto debito/PIL era simile 10-15 anni fa, quando non esistevano problemi di finanziamento, e pertanto anche questa tempesta passerà senza grandi danni. Purtroppo è una tesi che ignora un paio di importanti differenze. La prima è lo scoppio della bolla finanziaria. La liquidità facile del decennio pre-Lehman aveva generato crescita economica “artificiale” nelle economie occidentali. Adesso siamo esattamente nella situazione opposta, con una contrazione generalizzata dei bilanci bancari e del credito al settore privato. La seconda riguarda i paesi emergenti, che fino ad oggi hanno fornito un traino formidabile all’export. Su questo fronte ci sono segnali di indebolimento – dalla riduzione del tasso di crescita del PIL cinese, alle preoccupazioni sulla bolla creditizia brasiliana, alla discesa dei prezzi delle materie prime. Negli anni del boom economico mondiale l’Italia è riuscita a malapena a galleggiare. Mi chiedo cosa possa succedere ora che le prospettive globali sono molto più tiepide.
La frammentazione della scena politica italiana ovviamente non aiuta. Spero però che chi governerà il paese l’anno prossimo abbia il coraggio di fare scelte radicali e tempestive. Lascerei stare le discussioni sul parlamento a una o due camere, la legge elettorale, o le facili sparate sulle auto blu – che sono una goccia nell’oceano. I problemi principali mi sembrano invece il panorama burocratico/fiscale/giudiziario bizantino che scoraggia gli investimenti e i capitali esteri, le posizioni di rendita garantite a ampi strati della popolazione (in particolare nella pubblica amministrazione), il mercato del lavoro vittima della logica del posto fisso, e un governo troppo coinvolto nella gestione dell’economia laddove il settore privato farebbe meglio e con meno sprechi. Temporeggiare non aiuta nessuno, meglio una bella doccia fredda per risvegliare l’economia. Certo molti cittadini sarebbero tutt’altro che felici, ma l’alternativa – scaricare l’onere sulle generazioni future – è molto più iniqua.