Tramonti sul nord estVeneto, dove di debiti si muore per mano propria

Oggi, in questa giornata di finta estate, in cui si respira un caldo afoso quasi di morte, io me ne andrei in giro per la campagna veneta. Quella campagna del basso padovano che ha terra nera e dur...

Oggi, in questa giornata di finta estate, in cui si respira un caldo afoso quasi di morte, io me ne andrei in giro per la campagna veneta. Quella campagna del basso padovano che ha terra nera e dura ai confini con le nebbie del polesine.

Ci porterei questa pagina del Mattino di Padova e mi metterei a mani nude a scavare la terra.
Vorrei farne un grande e grosso buco, fare tipo una voragine nera fino ad arrivare al cuore della terra. Scaverei stringendo i denti fino ad arrivare alle gengive, a mani nude senza paura di scheggiare unghie o che il terriccio colori i polpastrelli. Andrei li vicino a quel filare di pioppi che ti guardano imbambolati e morti e scaverei bestemmiando , una bestemmia ogni volta che le mani violentano la terra.
Preparerei un buco in questa ora della sera che fa paura, perché non è giorno e non è notte, e ci metterei quella pagina di giornale. Ci sputerei sopra e dopo ricolmerei il buco con tutta la terra tolta.
E vorrei che quella pagina scoppiasse dentro la buca, scoppiasse in mille pezzetti e brandelli, vorrei che l’inchiostro si fondesse con la terra.
Me ne tornerei con le dita rotte e rovinate e un vuoto dentro che nessun sentimento di pace o l’ebbrezza furibonda della tristezza possono riempire.
Un altro. Un altro che ha deciso di prendere la via più semplice, più codarda e meschina.
Un altro. Un altro che ha respirato la vergogna del fallimento, la paura che avvolge gli imprenditori.
Un altro. Un altro di tanti. Un altro di troppi.
Un altro frutto amaro di questa terra.
E non uno che stava morendo. Uno che stava provando a vivere. Uno che stava crescendo. Uno che non si era arreso.
Nella mia grande e profonda umana debolezza è un altro nome alla lista degli imprendicidi. Nel mio grande e profondo e poco umano dolore e rancore vorrei sporgere denuncia per istigazione al suicidio a tutti quelli che permettono le morti per credito negato.
Non so quale procura avrebbe i coglioni di indagare e trovare i colpevoli e i mandanti.
Non so chi abbia fegato di accusare penalmente uno Stato che non rispetta i pagamenti. Eppure tra i MIEI imprenditori molti si sono stancati di aspettare la riscossione di un credito con lo stato che non è mai arrivato e che gli avrebbe se non risolto, fatto da balsamo per le ferite.
Non so chi abbia stomaco di accusare una banca che nega, in tempi di recessione, eppure tra i MIEI imprenditori molti si sono visti negare prestiti irrilevanti, si son sentiti dire dopo mesi che non erano adatti ad essere aiutati.
Ci sono dei colpevoli. C’è qualcuno che spinge i MIEI imprenditori a gesti eclatanti. E questi colpevoli devono pagare.
Devono finire dentro quella buca che io ho scavato. Devono soffocare vivi , li sotto la terra, osservati solo dai pioppi imbalsamati. Nel silenzio della terra dura e nera. Avvolti dalla nebbia di novembre.
Devono annaspare aria. Devono trattenere il fiato e dopo morire. Morta lenta e dolorosa. Solo questo.
E da quando saranno coperti dall’ultimo pugno di terra all’ultimo respiro gli deve girare nelle sinapsi solo un pensiero, rimbombare nel cervello solo l’idea che “ è stata colpa mia”.
Devono solo vedere scorrere come ultime immagini uomini impiccati a una trave. Vederli li penzolanti.
Devono assaporare l’amaro gusto di tasse, burocrazia, ritardi nei pagamenti, stretta creditizia e mancanza di liquidità che hanno creato un clima talmente ostile che non si tratta più di fare impresa ma di vivere.
Quello di ieri vorrei fosse l’ultimo e vorrei che veramente la vita, prima o dopo estingua il suo debito.
Che sia vero che si passa alla cassa, per riscuotere quanto dovuto – anche senza interessi – o per pagare una volta per tutte.

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