E se questo fosse il mio ultimo post? Cosa scriverei se sapessi con certezza che questa fosse davvero l’ultima occasione per dire la mia? Sceglierei parole di miele e velluto oppure le intingerei nel curaro per renderle veleno, dosandole con certosina premura?
Mi pongo queste domande ogni volta che sento parlare di fine del mondo imminente, come quella annunciata dai Maya e prevista, secondo chi l’ha interpretata, il 21 dicembre 2012. E c’è chi ci crede davvero, stando al ‘tutto esaurito’ registrato nei luoghi che, sempre secondo detta profezia, dovrebbero riuscire a salvarsi dalla catastrofe.
Pensandoci, mi viene da sorridere, soprattutto perchè c’è stato un tempo in cui l’Apocalisse ai miei occhi rappresentava il migliore dei mondi possibili. Tutte le sere prima del famigerato compito in classe di matematica, infatti, invocavo una fine del mondo qualsiasi che fosse però abbastanza disastrosa da impedire l’apertura delle scuole l’indomani mattina. Non m’importava se fossi sopravvissuta soltanto io, l’unica cosa che desideravo in quel momento era non dover affrontare quel maledetto compito in classe.
Ma, a parte le mie paure preadolescenziali, è innegabile che nella fine del mondo alberghi una sorta di sadica attrazione. Se lo chiedeva già Borges quando scriveva: “Perché ci attrae la fine delle cose? Perché ci attrae più la caduta di Troia che le vicissitudini degli Achei? Perché la tragedia gode di un rispetto che la commedia non ottiene? Perché sentiamo che il lieto fine è sempre fittizio?”. Forse perché, probabilmente, ci invita a fare i conti con la fine e con l’idea della morte che, nonostante la nostra fame di vita, non ci abbandona mai.
L’idea di un’Apocalisse ci consente di relazionarci all’idea della fine della vita senza fare i conti con religioni e fideismi scientifici. E forse risiede proprio in questo gran parte della sua fascinazione: approfittare dell’imminente distruzione per esplorare l’ignoto senza essere costretti a morire, da soli e ognuno per conto suo. Ma poi, a pensarci bene, ogni fine di un ciclo contiene già in sé il seme di un nuovo inizio. Questo è quello che da sempre ci racconta la storia del mondo per come ci è stata raccontata: un eterno alternarsi di fini e nuovi inizi, all’infinito.
Perciò, se Marx è morto, Dio è morto e Woody Allen non si sente troppo bene, esisterà senz’altro un altrove più vasto e potente dove la vita non solo continua, ma erompe. Ragion per cui, cari catastrofisti, arrendetevi all’evidenza: un’altra Apocalisse annunciata, per noi che abbiamo già attraversato guerre, terremoti, cadute di governo, stragi di Stato, non sarà di certo la fine del mondo.
Personalmente in questo momento storico l’unica cosa che mi dispiace della fine del mondo è che, purtroppo, non arriverà.