Storia MinimaA Matteo Renzi consiglierei di non abbandonarsi alla sindrome dello sconfitto

Di fronte alla sconfitta sono possibile due tentazioni. La prima è quella e dell’arrocco: la sindrome del perdente che pensa che il futuro passa solo per la sua persona e dunque averne fatto a meno...

Di fronte alla sconfitta sono possibile due tentazioni.
La prima è quella e dell’arrocco: la sindrome del perdente che pensa che il futuro passa solo per la sua persona e dunque averne fatto a meno, rinunziarvi sia non solo un affronto, ma anche una visione antistorica della realtà a cui la propria esistenza da solo darebbe senso.

La seconda è quella della creazione di una corte, di una corrente che sviluppa la sindrome della vittima e facilmente scade nella retorica del convento, della pratica intestina.
Il risultato in entrambi i casi è l’isterilimento delle energie.

Non so cosa farà Matteo Renzi, ma non credo di andare molto lontano dal vero se mi immagino che in questo momento gran parte del suo campo sia agitato da una di queste due tentazioni.

E’ sempre sbagliato dare consigli a chi ha perduto pensando di essere dotati di chissà quale saggezza, ancora di più se nessuno l’ha richiesto, quasi che qualcuno volesse darsi un ruolo.

Ma se, come a me pare, la sfida di Matteo Renzi sia consistita nel provare a inserire una buona dose di americanismo nelle regole non scritte (e per questo solidissime) della politica italiana, allora continui a guardare a quello scenario e a chiedersi: dove sarebbe oggi Hillary Clinton se nel 2008 avesse orgogliosamente rifiutato un’offerta?

E ancora. Che ne sarebbe di Barack Obama se non avesse compreso che la sfida era nel confronto bipolare e non nella guerra intestina al suo partito?

E dunque guarderei con attenzione al voto e mi chiederei: quali fasce generazionali hanno votato? di quale condizione di esclusione o di marginalità è testimonianza quel voto?

Ma anche penserei ai molti milioni che non hanno votato. Siamo proprio certi che l’area del non voto sia stata solo una decisione di indifferenza? E che quell’area non indichi anche un vuoto di rappresentanza nell’area democratica? Quale il linguaggio, le proposte per intercettarla?

Per questo non ritornerei a casa, né andrei in un eremo qualsiasi a convocare gli Stati generali degli sconfitti pensando così di mantenere la propria purezza o di dare vita a una corrente con cui contrattare posti.

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