In Australia si è aperto un intenso dibattito circa l’opportunità che un prete rompa il vincolo del segreto confessionale quando si tratti di notizie riguardanti il reato di abuso sessuale su minore. La notizia viene dal National Catholic Reporter, autorevole settimanale cattolico statunitense di orientamento liberal. Tutto parte da una dichiarazione del Procuratore Generale d’Australia (la magistratura più alta del Paese) Nicola Louise Roxon sul fatto che la Royal National Commission – appena istituita dal governo guidato dal Premier laburista Julia Gillard per fare luce sui casi di abusi sessuali su minori – dovrebbe riflettere sulla possibilità di chiedere ai preti cattolici di violare il sigillo della confessione in caso vengano a conoscenza di gravi reati sessuali perpetrati da loro confratelli.
Barry O’Farrell, premier del Nuovo Galles del Sud (uno Stato situato nella parte sud-orientale dell’isola, con capitale Sydney, particolarmente colpito dal fenomeno della pedofilia, con oltre 400 vittime conosciute di abusi) ha detto che i preti che ricevono confessioni su casi di pedofilia dovrebbero essere soggetti a obbligo di notifica. «Faccio fatica a capire come, se un prete confessa a un altro prete che è stato coinvolto in atti di pedofilia, perché tali informazioni non dovrebbero essere portate alla conoscenza della polizia», ha detto parlando di fronte al parlamento del suo Stato.
Anche il primo ministro Gillard ha affermato di ritenere che questa sia una questione che la commissione dovrebbe prendere in considerazione. Per molti esponenti politici, insomma, il fatto che il governo continui a riconoscere e tutelare il sigillo sacramentale sarebbe niente più che un retaggio del come diritto medievale, che va cambiato. La pensa così anche il leader dell’opposizione Tony Abbott, ultraconservatore cattolico ed assai vicino all’arcivescovo di Sidney, il card. Pell, che ha dichiarato che i preti hanno il dovere di denunciare gli abusi, anche se ciò significa la rottura del sigillo della confessione. Ovvio che stavolta il card. Pell non potesse consentire con il suo pupillo: il sigillo della confessione, ha detto in una conferenza stampa citando il diritto canonico è «inviolabile». L’unica scappatoia è che un prete sappia in anticipo che un penitente è un molestatore: in questi casi, ha detto Pell, il sacerdote può e deve rifiutarsi di ascoltare la confessione.
Del resto, gli orientamenti dell’opinione pubblica, laica e cattolica, sull’argomento, si scontrano inevitabilmente con il diritto canonico e con la dottrina della Chiesa. Il canone 983 §1 del Codice di Diritto Canonico proibisce nella maniera più assoluta al confessore di tradire in alcun modo il penitente con le parole o con le azioni e per qualunque ragione. Insomma, il prete non può informare lui stesso le autorità, neppure in modo indiretto. La violazione non è permessa neppure in caso di minaccia di morte del confessore o di altre persone. Il prete che eventualmente violasse il segreto confessionale incorrerebbe automaticamente nel canone 1388 §1, che prevede la scomunica latae sententiae. Al prete confessore il diritto canonico concede solo la possibilità di imporre al penitente un’adeguata riparazione, come condizione indispensabile per l’assoluzione, compresa quella di consegnarsi alle autorità civili.
Ma non si tratta solo del diritto canonico. Gli Stati di diritto, infatti, generalmente tutelano il segreto professionale, cioè l’obbligo, per un professionista, di mantenere la riservatezza su dati sensibili di cui viene a conoscenza in virtù della propria attività professionale. Ad esempio, il fatto che medici ed operatori sanitari non possano divulgare informazioni sulla salute dei propri pazienti. O che un avvocato non possa rendere pubbliche le confidenze di un suo assistito, anche se si tratta di fatti che potrebbero avere una forte ricaduta. In Italia il riferimento giuridico è l’art. 622 del codice penale, l’art. 200 del Codice di Procedura Penale e la Legge 675/96 sulla privacy e successive modificazioni. L’art. 200 del Codice di Procedura Penale in particolare include espressamente, nel novero delle categorie vincolate dal segreto professionale anche «i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».