Tra un pranzo in preparazione e mille messaggini di auguri su WhatsApp, tanto sono gratis e chissenefrega, stavo pensando al significato del Natale. No, se pensate sia il solito post di colui il quale, da buon anticonformista critica il sistema e le sue ipocrisie, avete sbagliato lettura. Parlare del buonismo e dei (falsi e pelosi) buoni propositi del Natale è un esercizio originale quasi quanto vedere Berlusconi in tv in questi giorni.
Ebbene pensiamoci al Natale. Da quello che dice e scrive (su Facebook) la gente fa una leggera introspezione e lancia messaggi distensivi, di pace e di armonia futura. Poi ci sono coloro che, invece, non scrivono. Non scrivono perché non vogliono rovinare con la loro rabbia e il loro veleno quella che è una festa sacra. Ma avete pensato al Natale dei terremotati, dei nuovi poveri, dei disoccupati, degli emigrati in terre lontante, dei malati?
Magari per loro ci sarà la consueta pacca sulla spalla per oggi. Da domani torneranno ad essere marginali. C’è l’agenda Monti, c’è Berlusconi, c’è Bersani. E poi c’è la Minetti, la Rodriguez, Ruby e compagnia cantando. Forse abbiamo perso di vista il concetto di giustizia sociale. Forse, anche noi della stampa, dovremmo rimproverarci qualcosa.
Come sarà il Natale di un giornalista precario, come il sottoscritto, che solitamente guadagna un pugno di euro a pezzo? Che prospettive di vita avrà? Allora il mio impegno per l’anno a venire sarà proprio questo: cercare di passare dal camino degli ultimi e raccontarli. Dare voce a chi voce non ha. Penso sia l’unico buon proposito attuabile per chi scrive come me. E nel nostro piccolo, magari, tutti dovremmo rispolverare questo concetto di giustizia sociale sempre più affossato da spread, Europa, Bce e altri termini che inaridiscono l’anima.