Yes we ScanBersani spalma il Grasso anti Ingroia

La candidatura del Procuratore Nazionale Antimafia, certo, sorprende tutti ma nelle strategie del Pd ha il suo perché: anche a costo di riaccendere polemicamente l'irrisolto dibattito sui Pm in pol...

La candidatura del Procuratore Nazionale Antimafia, certo, sorprende tutti ma nelle strategie del Pd ha il suo perché: anche a costo di riaccendere polemicamente l’irrisolto dibattito sui Pm in politica. L’arrivo di Grasso mette gli arancioni in difficoltà. De Magistris e Leoluca Orlando nei giorni scorsi hanno tentato una trattativa con Bersani per chiudere un accordo. Nel papello degli arancioni c’era però un punto un po’ surreale che dal Colle in giù avrebbe fatto irritare molti: Ingroia ministro della Giustizia. Grasso candidato manda ora quel papello arancione al macero. L’ingaggio darà soddisfazione al Colle (anche ai c.d. moderati) ma ripropone alcuni conti in sospeso ereditati dell’eterno e velenoso scontro Caselliani vs Grassiani. In realtà parte tutto nel 2003: dai tempi in cui Grasso, attraverso le colonne de La Stampa, rispose duramente ai caselliani che lo attaccarono sulla gestione di Giuffrè e del processo Cuffaro. Grasso, allora procuratore capo di Palermo, si levò un bel macigno dalla scarpa parlando di “schizzi di fango” e “interessi personali” da parte “di abitanti del tribunale che non condividono una certa visione della giustizia”. Dal 2003 ad oggi la musica dei caselliani non è mai cambiata. Non ultima l’indagine di Ingroia su una ipotesi di trattativa per la cattura di Provenzano che tenderebbe a mettere in ombra soprattutto la gestione Grasso-Pignatone. Però Cuffaro in carcere – insieme ad una parte rilevante della politica contigua – ce l’ha portato Grasso: non Caselli.

Ognuno ha le sue “trattative”. Secondo una fonte “di area”, nei giorni scorsi Luigi De Magistris e Leoluca Orlando avrebbero parlato con Bersani per tentare un accordo elettorale con il Pd. Se non fosse per il conflitto accesso davanti alla Consulta vinto dal Colle e le polemiche che hanno segnato il 2012 sull’affaire “trattativa”, il papello arancione era decisamente impegnativo e con un punto difficilmente assolvibile: piazzare Ingroia alla Giustizia (ops!). Non sapremmo dire quanto lì-per-lì Bersani abbia preso in considerazione quel controverso punto che abitava nel papello. La dote elettorale, che De Magistris e Orlando tentavano di portare alla Gioiosa Macchina da Birra di Bersani, era quella di tirarsi dietro sia il network antimafia dei c.d. Ingroia-Boys (tipo le Agende Rosse di Salvatore Borsellino e similari ma col rischio di ritrovarsi pure un tragicomico endorsement di Ciancimino Jr) più un po’ di società civile a vario titolo e area. Tutto target da sottrarre a Grillo secondo gli intenti strategici degli arancioni, ovviamente. L’offerta non deve essere stata granché allettante per Bersani. Fatti salvi i benefici d’inventario che non rassicurano per nulla sulla corposità effettiva di quel target, quanto della presunta dote elettorale arancione nel suo complesso, l’ingaggio di Grasso incassato da Bersani segna una virata netta in altra direzione e con un tempismo diabolico: un minuto dopo che Ingroia possa sciogliere definitivamente la riserva al movimento di Luigi De Magistris e Leoluca Orlando. Davvero gli arancioni potevano credere che Bersani fosse disposto a trattare su un “papello” del genere mettendosi contro il Quirinale che – va ricordato – personalmente dovrà far giurare il premier che verrà, oltre a provocare il mal di pancia al c.d. target “moderato”: montiani compresi? L’accettazione della candidatura di Grasso nelle liste del Pd, più che guardare agli arancioni, guarda al contesissimo target moderato: non è un caso che nel gioco dei toto-ministri il nome del procuratore antimafia girasse già da tempo come possibile ministro alla Giustizia in una ipotetica alleanza Monti-Pd, ove i risultati al Senato fossero problematici per il centro sinistra come le stesse simulazioni di D’Alimonte hanno del resto costantemente paventato.

Più che il Cav il vero cilindro l’ha esibito Bersani tirando fuori a sorpresa il nome di Grasso: anche a costo di riaprire un dibattito irrisolto come quello sull’ingresso dei magistrati in politica. Appena uscita la notizia. al telefono provo a sentire un vecchio amico di Grasso. E’ un magistrato di lungo corso che ha vissuto gli anni del maxiprocesso e dello storico pool antimafia di Palermo. Ancora ignaro della notizia e cadendo un po’ dalle nuvole risponde: “ho grande stima per Pietro e lui lo sa”. “Avrei capito di più un incarico governativo post-elettorale” – confida l’amico e collega di Grasso – “ma arrivare a correre come candidato, arrivare a correre per il parlamento, un po’ mi sorprende: per come è maturata e anche dalla posizione in cui parte come Procuratore Nazionale Antimafia, è notizia destinata a far discutere per il tempismo”. In realtà non è la prima volta che Grasso viene tirato per la giacca sia dal centro (partecipò ad un assise Udc a Chianciano) quanto dal Pd stesso. Già in passato si tentò una sua candidatura alla presidenza della Regione Sicilia che Grasso declinò subito, nonostante le pressioni che Beppe Lumia fece fino ai livelli massimi delle nostre istituzioni. Negli ultimi anni Grasso ha incarnato il candidato ideale per tutti, un autentico oggetto del desiderio: incluso il Pdl. Sul proprio futuro Grasso tenne per mesi tutti un po’ sulle spine, salvo poi dire che avrebbe entusiasticamente fatto parte di una eventuale Lista Civica Nazionale. A pochi minuti dalla notizia battuta dalle agenzie sulla candidatura, per un paio di ore si è tenuto un toto-lista su Grasso. In modo improvvido qualcuno (senza conoscere i contesti palermocentrici) azzardò “arancione”. Qualcun altro, in modo logico-deduttivo ex Lista Civica Nazionale, azzardò “Lista Monti”. Invece no. Et voilà, sorpresa: Grasso corre col Pd e contestualmente se ne comprende il perché, anche secondo il punto di vista di Bersani che peraltro, volendoci mettere il cronista la mano sul fuoco, rassicura il Colle (e non solo). E il punto di vista di Grasso?

Il punto di vista di Grasso non sarà solo un mero riflesso di servizio come del resto ha ineccepibilmente dimostrato nel corso degli anni da magistrato: questo non gli si può certo negare. Tuttavia, che nell’aria ci sia un clima da resa dei conti che parte da lontano nel tempo, quanto dalle posizioni geografiche (Palermo) è indubbio. Con l’ingresso degli Ingroia-Boys in campo c’è tutto un movimento, un network e un’area caselliana che si è mossa con accenti critici (per usare un eufemismo) nei confronti di Grasso, riproponendo uno scontro mai sanato tra caselliani e “grassiani”. Dopo il caso (mediaticamente manipolato) sul famoso “premio” che il Procuratore Nazionale avrebbe dato per alcuni provvedimenti emanati dal governo Berlsuconi in materia di criminalità, Salvatore Borsellino, nei giorni delle celebrazioni ventennali delle stragi, arrivò a dire che “se avessero incrociato Grasso, lui e i suoi attivisti gli avrebbero voltato le spalle e agitato le Agende Rosse”. Grasso provò a chiarire quella “trappola” tesa da La Zanzara ricordando le dure critiche fatte allo stesso tempo a Berlusconi, per esempio sulle intercettazioni e su altri punti, senza mandarle a dire: ma non bastò e venne “bollato” senza appello dal quella antimafia militante vicina ai caselliani. Sono ruggini che partono da lontano per quel tipo di network e per lo stesso Grasso. I caselliani non hanno mai visto di buon occhio Grasso e il suo modello di gestione degli uffici antimafia, la cui dottrina è stata non poco influenzata dall’esperienza di un magistrato come Pignatone: sia sul terreno della lotta alla Mafia quanto quello delle contiguità politiche e imprenditoriali. Basta solo mettere cronologicamente a confronto i sei anni di Caselli (1993-2000) contro i sei anni di gestione di Grasso (2000-2006) alla procura di Palermo. Il 15 gennaio del 1993, lo stesso giorno in cui arrestano Riina, al palazzo di giustizia di Palermo si tiene la cerimonia di insediamento di Caselli come Procuratore Capo, facendogli praticamente trovare su un vassoio d’argento il Capo-Dei-Capi. Caselli parte agevolmente dalla testa per arrivare via-via ai piedi: Riina, poi Santapaola, Bagarella, Brusca fino all’ultimo dei capodecina, fino al proletariato criminale. Quando arriva Grasso, l’inversione di tendenza è evidente rispetto alla gestione del suo predecessore. Grasso incomincia a lavorare dai piedi per arrivare alla testa. Comincia subito dai picciotti che contano. Poi con la cattura di Benedetto Spera, primo braccio destro di Provenzano. Poi, becca un altro fedelissimo “destro” di Binnu come Nino Giuffrè, che si rivelerà un prezioso collaboratore di giustizia, grazie al quale Grasso farà terra bruciata chiudendo pure la saracinesca all’ultimo quartier generale utile che da Villabate ha curato logistica e latitanza di Provenzano (arrestando anche Campanella, il segretario nazionale dei giovani Udeur che ebbe come testimoni di nozze Mastella e Cuffaro). Nel 2006 alla fine Grasso conquista la testa di Provenzano: dai piedi fino alla testa, appunto, non viceversa. L’azione di Grasso non si fermò solo alla cattura dei grandi boss. Giuffrè per Grasso diventerà un uomo chiave con la sua collaborazione, aprendo scenari investigativi e processuali straordinari attorno a contiguità politiche, affari e protezioni bidirezionali di Provenzano. Una attività portata sempre avanti col pentito che metaforicamente a Pm e investigatori “scattava” sì fotografie ma che Grasso faceva “stampare” sulla carta non virtuale delle tradizionali tecniche investigative utili al buon esito dei processi da incardinare: intercettazioni audio/video, pedinamenti, etc. Cuffaro, Miceli, il maresciallo deputato Borzachelli, Guttadauro, Mercadante, il principe delle cliniche Aiello: manda agli arresti gran parte dell’Udc (e non solo). Grazie a Giuffrè “scova” persino il caso più delicato e insidioso rivelato dal collaboratore: quello delle talpe infiltrate alla Procura Antimafia di Palermo (e una di queste stava pure in servizio dentro l’uffico di Ingroia). I caselliani attaccarono duramente la gestione verticistica di Grasso (e Pignatone) riunendosi in assemblea permanente. Per come erano stati abituati con la precedente gestione, non digerirono la mancata e indiscriminata circolazione delle carte relative agli interrogatori di Giuffrè (opportuna, visto che c’erano le talpe sparse in un paio di uffici, no?) e tennero infuocate riunioni in procura sul capo ideale d’accusa da formulare a carico di Cuffaro. I caselliani premevano per il consunto concorso esterno in associazione mafiosa che vide sconfitta la gestione precedente con una clamorosa serie di assoluzioni. Mentre la coppia Grasso-Pignatone, optò per un reato “tipizzante” ma non meno pesante a carico di Cuffaro: il favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, ex art 7. Alla fine vinsero Grasso e Pignatone: con una visione competitiva del processo che ha pure generato un inedito precedente giurisprudenziale attraverso la sentenza Cuffaro in Cassazione. Contrariamente, volendo fare una pubblicità comparativa, il bottino dei c.d. processi eccellenti della gestione Caselli non fu brillante: Andreotti, Musotto, Carnevale, Giudice, Mannino, il processo Dell’Utri ancora tutto da definire dopo quasi vent’anni e molti altri. Alla fine Cuffaro (e bel tot di politici) in galera ce lo ha portato Grasso, non Caselli.

Tutto parte comunque e sostanzialmente dal 2003. E’ lì la chiave dello scontro tra Grasso e il network dei caselliani arrivato fino al punto più alto delle nostre istituzioni. Il 17 luglio del 2003 Grasso dalla scarpa non si leva un sassolino ma un macigno affidandosi alle colonne de La Stampa. Alla navigata penna di Ciccio La Licata, l’allora procuratore capo di Palermo Pietro Grasso affida una frase che resterà scolpita nella cronaca giudiziaria e politica. A chi, tra i c.d. caselliani, lo accusava di essere un “normalizzatore”, un “tiepido” o uno “che non volesse disturbare il manovratore”, Grasso rispose: “credo che il ricorso all’attacco politico sia solo un paravento, un diversivo che nasconde interessi personali di pochi abitanti di questo palazzo. Persone identificabili in una determinata area culturale e politica che si è sempre distinta per l’aggressività e il cinismo con cui ha attaccato ed attacca chi non condivide una certa visione della giustizia e dei problemi ad essa connessi. Neppure Giovanni Falcone si salvò da questi schizzi di fango”. Arrivando a tempi più recenti, prima di partire da Palermo, l’ultimo soldato guatemalteco rimasto nella foresta ha lasciato una velenossisima traccia con un fascicolo che vorrebbe gettare ombre sulla fine della latitanza di Provenzano per via di una non meglio identificata “trattativa”. Come dire: ci risiamo.

Il Contesto quanto i precedenti ci sono tutti e i clichè di vichiana memoria pure: ma le cose destinate a far discutere saranno pervasività, tempistica e ruolo dei magistrati in politica. Sperando che comunque, chi a torto o a ragione, non “salga” o non “scenda” in campo per regolare conti, ancor più se ha indossato la toga e la mette pure in aspettativa. In questo Paese abbiamo già altri conti da sistemare, quelli sì veri, che ci riguardano e guardano anche oltre confine.

Twitter: @scandura

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club