MamboCon la sua “salita”, Monti mette fine ai governi tecnici. Ed è un danno per l’Italia

Sarà difficile per Monti essere neutrale in campagna elettorale se in campo vi saranno una o più liste predilette. Bersani, al solito, è stato pacato nel polemizzare con questa scelta, i dirigenti ...

Sarà difficile per Monti essere neutrale in campagna elettorale se in campo vi saranno una o più liste predilette. Bersani, al solito, è stato pacato nel polemizzare con questa scelta, i dirigenti del PdL meno. Non hanno torto. Non scandalizza un presidente del consiglio che partecipa a una campagna elettorale quando deve difendere la maggioranza che lo ha eletto. Diverso è il caso di un presidente super partes. E’ una considerazione talmente evidente che non varrebbe neppure la pena di soffermarvisi.

Monti ha tutto il diritto di dire la sua attorno a rappresentazioni infondate e distruttive della sua opera. Viene meno al patto di lealtà con chi lo ha eletto se invece partecipa allo scontro. Con la discesa in campo di Monti, d’ora in poi chiamata salita, si mette la parola fine, nel nostro paese, ai governi tecnici. Molti considereranno positiva questa cancellazione di una risorsa di governabilità nei casi di estrema confusione della politica. Penso invece che sia un danno.

L’Italia perde cioè la possibilità di avere personalità in grado di mettersi al di sopra della tenzone politica in casi estremi. In fondo i tecnici montiani, nella loro polemica contro i partiti, ne fanno un elogio involontario considerando impossibile governare l’Italia senza fare parte del gioco dei partiti. Gli schieramenti che a questo punto si fronteggiano sono quattro. C’è il centro-sinistra ristretto di Bersani, c’è il fronte populistico nordista che fa capo a Berlusconi e Maroni, non necessariamente alleati, c’è il mondo giustizialista populista con due anime, quella grillina e quella di ingroia, c’è infine il rassemblement di Monti. Sono quattro mondi che non comunicano fra di loro. Sono concorrenti di una gara che può dare un vincitore alla Camera e può segnare l’ingovernabilità al Senato. Saremmo punto e a capo.

Uno di questi quattro contendenti rischia di uscire dalla scena. Ed è il partito di Monti. Se tutti gli altri competitor possono accettare qualunque risultato, Monti deve vincere o arrivare almeno secondo per non rischiare il fallimento. Allo stato dell’arte, però, per Monti è difficile arrivare primo e persino secondo. Un buon risultato della lista e o delle liste del premier è possibile solo a condizione che una buona parte di italiani facciano una scelta radicale a suo favore. Lo scelgano come uomo della provvidenza contro i partiti e contro i populismi. L’immagine di Monti segnalata dai sondaggi è ancora molto salda ma finora nulla segnala l’emergere di un carisma in grado di sconvolgere gli schemi del gioco della politica. Il presidente del consiglio per forzare la situazione dovrà quindi impegnarsi ancora di più ventre a terra nella campagna elettorale.

Sarò cioè costretto a violare sempre più il patto di terzietà e polemizzare con maggior forza non solo con la destra berlusconiana che lo ha eletto proprio competitor ma anche con la sinistra bersaniana in cui vanta alcuni amici. Monti per vincere deve dare una giustificazione storica del proprio impegno e potrà farlo solo polemizzando a tutto campo con la politica e presentandosi come l’uomo provvidenziale, il nuovo unto dal signore, il paladino europeo. Se questa linea è facilmente utilizzabile contro giustizialisti e grillini vari, contro berlusconani e leghisti, appare più difficile esibirla al confronto con il Pd. Monti dovrà allora tira fuori dal cilindro altri argomenti per togliere voti riformisti a Bersani. Ci ha già provato polemizzando con Vendola e Camusso.

Solo che questi argomenti sono parte del bagaglio della destra berlusconiana. Il paradosso che avremmo è quello di una campagna elettorale in cui un premier vanta il proprio lavoro, e quello del parlamento che lo ha sostenuto, indicando contemporaneamente nei partiti della sua maggioranza i nemici dell’Italia, gli avversari da battere. Sarà un’altra stranezza di questo paese con un uomo che ha governato per oltre un anno che dice al paese che chi lo ha appoggiato è inaffidabile. Qualcuno potrebbe chiedergli perché non si è dimesso prima, se questa era la sua valutazione della condizione in cui si trovava. Per fortuna che tutto questo dibattito, a dir poco bizzarro, sarà chiuso da un voto di popolo.  

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