È normale che in tanti, fino alla prova contraria di un responso elettorale, chiedano a Mario Monti di fondare un partito ovvero di dar vita a un rassemblement oppure di patrocinare una lista. Queste richieste vengono da ambienti di cultura liberale e riformista che hanno in odio il populismo berlusconiano e temono che la sinistra sia prigioniera di vecchie culture socialdemocratiche. Da qui la richiesta pressante a Monti perché occupi il centro della scena politica anche al prezzo di trovare accanto a sé i personaggi più antichi del parlamento.
Questa prospettiva può piacere o no, ma appare assolutamente legittima, non so se sia augurabile ma deve confrontarsi con una parola pesante. Mario Monti fu chiamato a diventare senatore a vita e a formare un governo di larga solidarietà in quanto personalità competente e super partes. Tutti i partiti che lo sostennero furono convinti dal presidente Napolitano soprattutto in virtù di questa caratteristica terza dell’attuale premier.
Nei suoi discorsi parlamentari, anche in quelli in cui ha strattonato i partiti, come ho documentato ieri, il premier ha sempre sottolineato questo suo atteggiamento distante dalla politica che era al tempo stesso civetteria accademica ma anche garanzia di non partecipazione alla contesa. Tutto ciò viene descritto bene da un termine preciso, breve e pesante. Si chiama “lealtà”, la lealtà che Monti ha dimostrato verso il capo dello Stato e verso quelle forze che hanno accettato di farsi commissariare da lui e che lo hanno sostenuto nella certezza che il premier non avrebbe ricavato vantaggi dalla rendita di posizione. Se Monti dovesse scendere in campo la parola “lealtà” verrebbe buttata nel cestino.
La nuova politica che tanti si augurano si svolga nel nome di Monti comincerebbe con un vizio tipico della politica più vecchia e logora, cioè il non mantenimento degli impegni morali presi. È ovvio che non c’è un solo documento in cui vi sia una specie di contratto fra Monti e i partiti che hanno appoggiato la sua avventura parlamentare. Ma è altrettanto evidente che se il problema fosse stato solo quello di scegliere un uomo di buona levatura ce n’erano tanti nei due campi. Invece si è scelto il nome della personalità che non entrava in concorrenza con la politica, un servitore dello stato, un uomo delle istituzioni, per l’appunto.
Monti può benissimo fare quel che crede. Ma non c’è dubbio che se scegliesse di fare concorrenza ai partiti che si sono fidati di lui, il suo nome comparirebbe nella lunga lista di quei politici da cui non compreresti mai un auto usata.