A volte sembriamo intransigenti, ma non è proprio così. È che in fondo anche noi giornalisti speriamo di avere un punto di riferimento, qualcuno cui poter, non sempre ma almeno spesso, guardare per dire che poi in fondo vale la pena essere ottimisti. Elloso, sembra una predica però è con amarezza che scriviamo quel che secondo noi va scritto sull’operazione politica di Monti; è con amarezza che manifestiamo sconcerto per la scelta di Pietro Grasso; è senza amarezza, invece, che ignoriamo il manifesto di Ingroia e il suo blasfemo richiamo al Quarto Stato di Pellizza da Volpedo.
Ma non ci rassegniamo. Non vogliamo farlo. Questa campagna elettorale non è ancora partita e già ci ha un po’ nauseati. Alla fine, è incredibile che a scriverlo siamo noi, il più intellettualmente onesto è Bersani. E di critiche al Pd non ne abbiamo risparmiate. E non risparmieremo. Però, gli va dato atto, ha sostenuto il governo Monti quando avrebbe potuto vincere sulle macerie del berlusconismo e ora se o ritrova come avversario politico, ha offerto a Renzi la possibilità di scalzarlo, ha indetto le parlamentarie del Pd.
Non so dire se siamo noi ad aver abbassato l’asticella, o è lui che silenziosamente ha guadagnato posizioni. Fatto sta che oggi il figlio del benzinaio di Bettola sembra un punto di riferimento: una persona perbene, affidabile, magari senza lampi, su cui comunque poter fare affidamento. Non è un endorsement, è tutto sommato un grido di dolore. Anche di delusione. Da Monti ci saremmo aspettati di più di un accrocco con Montezemolo, Fini e Casini, il peggio dello statalismo. L’immagine (per ora virtuale) di Monti vicino a Italo Bocchino è un crudo ritorno alla realtà. Viene da concludere con il ritornello degli ultrà del calcio quando la loro squadra non rende come dovrebbe: «Meritiamo di più».