Il 2013 è l’anno delle elezioni importanti e delle decisioni irrevocabili, lo si legge un po’ dappertutto. IL, il magazine del Sole 24 Ore, ne ha addirittura fatto un’infografica a cura di Alessandro Giberti molto bella, che al momento non trovo però su internet. Nel “vecchio mondo” si vota in Italia, Germania, Repubblica Ceca, Cipro, Malta, Bulgaria, Austria. Tanti scenari che si aprono, vie larghe per l’esasperazione del Kodeuropa. Da noi, c’è chi ne scrive con più consapevolezza (ma molte più critiche) di me. In Germania, alti lai contro Merkel e pensiero unico, poi si vanno a vedere le percentuali di consenso e rimane leader con la vittoria quasi in tasca alle elezioni, con una SPD lontana, e Steinbrueck in sofferenza per una eventuale coalizione rosso-verde che deve costringere il suo partito a farsi andare a genio Cem Oezdemir, leader dei Gruenen.
Ma oggi non voglio parlare di questo, che è un riassunto ad uso e consumo di chi non si può procurare quella interessante infografica succitata. Un’interessante evoluzione del Kodeuropa è il partito Jobbik, il classico caso in cui tutti sanno tracciare coordinate più o meno precise (“è ungherese, è fascista, è razzista, è euroscettico”), oppure si ricordano due o tre sganasciate a cui alcuni esponenti di Jobbik si sono abbandonati, comparse in qualche “colonnino morboso”, come lo chiama Luca Sofri.
Per l’appunto, il più recente caso di cronaca a cui si può fare riferimento parlando di Jobbik è quello del deputato che ha chiesto una black-list delle personalità ebree più in vista nel Paese (qui da noi c’è Stormfront che si fa notare per queste cose), in modo da poter rispondere alle minacce alla sicurezza nazionale che costoro porrebbero. Come mostra l’articolo dell’Economist che ho linkato, è interessante vedere che un partito fondato nel 2003, con un forte successo alle ultime europee del 2009, sia già oggetto di ostracismo nel proprio Paese, nonostante il seguito popolare. Questo di solito si spiega con due ordini di ragioni: o il partito non vale nulla, o non è stato in grado di gestire la sua comunicazione, il suo output.
Una marcia degli ungheresi dello Jobbik
Ma qui interessa la visione dell’Europa che Jobbik, con tre europarlamentari, intende portare avanti: quella dell’Alleanza Europea dei Movimenti Nazionalisti (AEMN). Un nome altisonante, che richiama a livello puramente semantico le altre Alleanze europee – a scanso di equivoci, intendo dire che da un gruppo di partiti così fuori dagli schemi e lontani dalla politica “che veste formale” ci si poteva aspettare anche un nome leggermente più originale, ma tant’è – ma che con esse non ha nulla a che fare. L’alleanza, fondata proprio a Budapest nel 2009, è figlia di Euronat, progetto abortito di un rassemblement “identitario” (mi sento Irene Pivetti a parlare così) propugnato anni fa dal Front National francese. Proprio uno dei punti di riferimento di questo blog, Abel Mestre, ha descritto in questo articolo i punti di contatto tra Jobbik (nato nel 2003) e il FN francese. Eppure questo progetto politico ha delle radici e alcune idee per il futuro.
Le radici sono quelle comuni a tanti altri movimenti o partiti dell’area estremista e radicale europea, dal FN stesso (nelle sue ramificazioni più tradizionaliste e vandeane, più Gollnisch che Le Pen, insomma, nonostante i trascorsi orientalisti e nipponici dell’ex-sfidante ora europarlamentare del FN che è tra l’altro diventato Presidente dell’AEMN) a Forza Nuova in Italia e alla neonata Alba Dorata greca; molti esponenti di questa corrente ideologica che vede nelle radici cristiane dell’Europa un elemento imprescindibile sono ad oggi tra i non-iscritti nel Parlamento Europeo. Troppo estremi? Probabile. Jobbik è comunque tra questi. Sono quelli che non riuscendo a portare avanti le loro battaglie nè in un gruppo transnazionale nè in gruppi quasi monopartitici come lo European Conservatives and Reformists Group hanno scelto di rimanere disorganizzati e “indipendenti”. La battaglia per il riferimento alla Cristianità nella Costituzione del 2004 ha significato per molti di loro un revanscismo notevole: battaglia che, oramai lontana dalle cronache, ha mosso la coscienza di ben più di un intellettuale rispettato.
Per quanto riguarda lo status quo, è difficile definire la vita di questa area, che sicuramente brulica di ispirazione soprattutto in momenti di crisi, ma che sembra rimanere ai margini della vita politica. Sarà per i sistemi elettorali del Parlamento Europeo, per le richieste ancora troppo spinte, ma fortunatamente la “minaccia” è lungi da venire. Con circa il 20% nei sondaggi e lo stesso successo del partito di governo Fidesz tra gli under 30, Jobbik ha però una carta molto importante nella sua mano, ovvero la concomitanza delle elezioni in Ungheria e nell’Unione Europea nel 2014. Con una strategia politica fortemente euroscettica, o con la riproposizione di alcuni stilemi contrari all’Unione stessa non è difficile che Jobbik possa conquistare nuovi voti erodendo il bacino da cui s’abbevera il partito di governo Fidesz, che ha avuto oltre il 50% dei consensi alle ultime elezioni, nel 2010.