Mekong WaveHa Noi 2050 – Trilogia di un paesaggio asiatico

Non ne posso fare piu' a meno. Se prima volgevo gli occhi al cielo solo per imprecare o a rimirar le stelle, oggi i miei occhi seguono tetti, balconi, finestre, linee verticali che si incrociano co...

Non ne posso fare piu’ a meno. Se prima volgevo gli occhi al cielo solo per imprecare o a rimirar le stelle, oggi i miei occhi seguono tetti, balconi, finestre, linee verticali che si incrociano con grondaie, ringhiere e ‘parassiti’. Sempre con il rischio di inciampare in qualche mattonella divelta, tombino scoperto o chissa’, quale altro pericolo che gli pseudo marciapiedi di Ha Noi possono riservarmi. Ma non e’ solo qui in Viet Nam che lo sguardo si volge con curiosita’ verso costruzioni colorate che hanno tanto da raccontare. Ormai e’ un tratto distintivo del mio viaggiare e raccontare come ho fatto notare anche in qualche post passato.

Di che cosa sto parlando esattamente?

Della visione di una citta’.

Si’, perche’ una citta’ nasce, si sviluppa e cresce secondo piani urbanistici disattesi, speculazioni immobiliari implose prima del tempo e conquiste che vorrebbero dare il proprio volto ad una terra che non gli appartiene. Cosi’, un villaggio nato nel 1010 in ‘mezzo al fiume‘– questo il significato di Ha Noi– diventa una metropoli che fagocita terreni agricoli che si trasformano in grattacieli e parallelepipedi come blocchi calati dall’alto in un contesto gia’ storicamente plasmato dall’utopia idealista francese e quella egalitaria sovietica. Una storia con un profilo che si legge attraverso linee verticali e orizzontali che si susseguono attraverso piani di legno, ferro, amianto e cemento armato. E cosi’, i grandi spazi pubblici diventano blocchi a tre o quattro livelli che spinge la vita a muoversi dalla strada ai piani dei ballatoi senza linee di divisione. Fino ad arrivare in spazi chiusi come loculi che si estendono verso il cielo dove la vita diventa privata e chiusa, quasi asfittica.

E oggi, nonostante siamo solo alle porte del 2013, c’e qualcuno che ha immaginato un drago che ascende nel 2050.

Un pazzo?

No, semplicemente un visionario che ho avuto la fortuna di incontrare anni fa e che col tempo mi ha arricchito l’anima con le sue visioni di una citta’ che ho imparato a conoscere anche nei suoi vicoli piu’ nascosti, in ferrovie e strade che si snodano tra gruppi di case apparentemente fatiscenti. E’ proprio li’, invece, che si riconoscono le linee distintive di Ha Noi. E’ in progetti passati e custoditi nella memoria storica degli archivi. Accarezzati, sognati e solo parzialmente realizzati. E’ nelle planimetrie consunte dal tempo e rese buie da anni di guerra e bombe, colpevoli di aver distrutto ponti e sogni comuni. E’ nella ricostruzione confusa che doveva rispondere ad esigenze concrete che ritrovo e riconosco i tratti unici di una citta’ in continua evoluzione.

Tutto questo era gia’ in grembo nella prima visione di Matteo Aimini. Ne fui letteralmente folgorato. Oggi, quella prima visione al presente che ne descriveva un futuro prossimo e’ divenuta un’immagine completa senza timori e paura di azzardare. In fondo e’ la sua visione e nessuno potra’ mai negarla. Quella di un architetto che ama ancora lasciare il graffio su muri spenti di citta’ sempre piu’ anonime e con sempre meno spazi per immaginare. Oggi, quella prima visione e’ cresciuta e ha un volto preciso, riconosciuto anche dall’Istituto Nazionale di Urbanistica che ha deciso di assegnare a ‘Ha Noi 2050 – Trilogia di un paesaggio asiatico‘, il primo premio nella categoria miglior inedito nel I°concorso di letteratura Architettonica ed Urbanistica.

A questo punto non mi resta che attendere, sedermi sulle rive del lago ovest, sorseggiare un buon ca phe den e vedere come cambia il cielo.

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