Pier Luigi Bersani
I dubbi attorno alle intenzioni di Monti cambiano la campagna elettorale del Pd. Finora questo partito si è mosso, rispetto al professore, fra l’anatema di D’Alema sull’immoralità di una candidatura e l’imperturbabilità di Bersani. Se il primo atteggiamento registra la rottura di un patto tacito fra il premier e il principale partito che lo ha sostenuto, con eccessiva, forse, generosità, il secondo appare artefatto e per tanti aspetti anche sbagliato. Bersani è un leader sottovalutato, lo scrivo da tempo. I mass media sono talmente abituati a leader ingombranti che non sanno come prendere quest’uomo normale che vuole normalmente fare politica. La ragion del suo successo sta proprio qui, purchè Bersani non esageri nel enfatizzare questo dato di natura oltre il plausibile.
Non è infatti credibile che Bersani non sia preoccupato dall’ingresso, eventuale, in campo di Monti né è credibile che la cosa non susciti in lui sentimenti e risentimenti. C’è una vulgata, molto diffusa fra gli ex comunisti, per cui il leader politico deve mostrarsi sempre e ostinatamente tranquillo impedendo alle emozioni di trasparire. È una cretinata, anche mediatica. Il leader sia se si consideri eccezionale sia se si consideri uno di noi deve essere umano e nella sua umanità rientrano anche l’incazzatura, la delusione, lo spirito di rivincita. Comunque Bersani ha scelto di apparire più tranquillo di quel che effettivamente è o dovrebbe essere. Resta però in campo il tema di quel che cambia nel suo partito se Monti dovesse sciogliere positivamente il dubbio sulla discesa in campo.
A parte il rischio ( o il vantaggio?) di una fuoriuscita di dirigenti verso la lista del premier, il tema riguarda più direttamente il profilo elettorale per Pd. Se finora siamo stati abituati a ragionare attorno a un partito moderato e di sinistra alla maniera europea, con l’ingresso di Monti indubbiamente il Pd deve caratterizzarsi ancora più a sinistra e sempre meno moderato. Non c’è alcun dubbio infatti che Monti occuperebbe tutto lo spazio che solitamente si usa definire centrista e a Bersani toccherebbe il compito di fare il pieno di tutti i voti di sinistra e di tutti coloro che si oppongono ad una europeizzazione dall’alto della politica italiana. I toni blandi con cui Bersani ha immaginato di dover fare campagna elettorale dovranno cioè cedere il passo a più vigorose intemerate socialdemocratiche.
Ci sarà la necessità di svestire dell’abito terzista il premier attaccandolo anche personalmente, più o meno con gli argomenti di D’Alema, e poi si tratterà di mettere in discussione la visione poco compassionevole e riformista della sua politica per come concretamente l’abbiamo conosciuta. Bersani dovrebbe paradossalmente accendere i toni, fare cioè l’esatto contrario di quel dovrebbe fare se il suo competitor fosse solo Berlusconi. Contro il Cavaliere conviene mostrarsi pacato e impermeabile alle polemiche. Contro il Professore conviene alzare i toni.
Quel che bisogna evitare è che cresca una area antisistema che si ponga elettoralmente come contrapposta a due montismi, l’uno autentico l’altro derivato. L’area anti-montiana dovrebbe essere presidiata dal Pd. Certo per questo partito resterà aperto il grande tema di come giustificare la contrapposizione con il professore con l’appoggio di questi mesi. Sarà forte la tentazione di usare gli argomenti di D’Alema che dall’essere temi accesi per una dissuasione diventerebbero motivi di fondo di una nuova campagna elettorale assai calda. Il Professore vada dove lo porta il cuore e le sue ambizioni, ma non potrà negare l’evidenza di una nuova contrapposizione muscolare. Cioè di un nuovo berlusconismo in altre forme.