Caro Papà…
Tu molto probabilmente non leggerai mai questa lettera .. ma forse la leggeranno gli altri miei papà .. quelli che mi hanno cresciuta, quelli che mi crescono ogni giorno dandomi una vita diversa da quella che tu mi hai dato naturalmente. E non so a chi devo essere più grata … forse ad entrambi.
Mi capita di vedere nei vari fenomeni che incontro, molti aspetti del tuo essere stato imprenditore. Mi capita di capire ora la sofferenza di aver dovuto chiudere un’attività, un po’ per la situazione che si stava delineando un po’ perché nessuno di noi tre ha voluto portarla avanti.
Mi capita di capire ora la rabbia che avevi quando ti sei trovato con 5 maternità su 15 dipendenti. Mi capita ora di comprendere l’indignazione che provavi a dover pagare tasse e tasse , senza sapere che fine e uso ne avrebbero fatto a Roma. Mi capita ora di sentire i brividi e mi capita che si congelino le lacrime sulle guance, quando vedo Imprenditori che prima pagano i dipendenti e dopo pensano ai loro famigliari. Mi capita ora di schifarmi quando sento genitori che ai loro figli “tutto, subito ed il meglio” quando tu mi hai fatto sudare, desiderare e sognare ogni minima cosa.
Tu la pacca sulla spalla, le “congratulazioni” non me le hai mai fatte.
Mai una lode, mai una pubblica o privata lode o attestazione di stima. Come fanno adesso i fenomeni con i loro figli.
Se questo mi ha portato ad abbruttirmi, ad insonorizzarmi il cuore, a non credere più nella bontà della specie umana, dall’altra parte ha contribuito a forgiare una persona autonoma, indipendente, combattente e che non si accontenta.
Tu da Imprenditore ti sei salvato in tempo. Appena si sono affacciati sul mercato i vari cinesini hai trovato lavoro alle tue dipendenti e hai chiuso a testa alta. Mi hai insegnato che un nemico lo puoi sconfiggere se hai le stesse armi oppure bari per tenergli testa, ma barare non ne siamo capaci. Non fa parte del nostro dna.
Sei sempre stato imprenditore-padre-padrone come lo sono tutti quelli di questa terra. Testardo ed orgoglioso. Prima il lavoro e i schei e dopo tutto il resto a contorno. Io mi ricordo quando ti alzavi un’ora prima per accendere il riscaldamento in modo che le tose trovassero il laboratorio al calduccio. E mi ricordo quando pioveva che te ne correvi di là a staccare la corrente.
Io mi ricordo quando sotto Natale piuttosto della cesta col panettone e la bottiglia, gli preparavi alle tose la loro busta con due soldi perché si comprassero quello che volevano. Io mi ricordo quando battevi i pugni sul tavolo quando le cose non andavano, quando chi doveva pagare non pagava, quando dovevi correre a cercare lavoro, quando chiedevi agli amici soldi per pagare questo o quello.
Io mi ricordo l’ultimo giorno della tua ditta. Le lacrime delle tose erano vere, non di proforma o per far scena. Le hai sempre considerate come figlie. Ed è lo stesso atteggiamento che vedo adesso nei miei fenomeni. Prima i dipendenti e dopo i figli. Senza pensare che i primi sono sostituibili, mentre i secondi non lo sono.
E a discapito del distacco che ci lega … io tutte le sere prima di chiudere gli occhi .. ti auguro la buonanotte. E so che tu la senti.
Ti voglio bene.
Fede