di GIULIANO GASPAROTTI – http://www.officinedemocratiche.it
Chiunque vinca l’Italia sarà in ottime mani: è stato il primo pensiero avuto dopo il duello televisivo per il ballottaggio Renzi Bersani. E’ durato pochissimo come pensiero, purtroppo, perchè la realtà ha subito preso il sopravvento. Si può sintetizzare con due immagini. E con due numeri.
La prima immagine riguarda un gruppo di persone che avevano regolarmente chiesto l’iscrizione, nei tempi e secondo i modi previsti dal regolamento per le primarie, che si sono visti rifiutare la richiesta. Quelle persone come tante, troppe, delle 128.733 che hanno, invece, il diritto domenica di andare a votare.
Nelle ultime ore, infatti, sono state forzate in senso restrittivo le regole da parte del Comitato dei Garanti che, a dispetto del nome, ha ritenuto di dover chiedere non solo la giustificazione per coloro che non sono riusciti a votare per il primo turno, ma ha richiesto la giustificazione rispetto al periodo precendente al giorno di domenica, durante la preiscrizione, escludendo di fatto dalla partecipazione coloro che invece hanno diritto di votare.
Un atto grave, un colpo di coda, forse, suggerito da chi ha visto il grande recupero di consenso realizzato da Matteo Renzi.
Di fatto si sta parlando del 4,5% dell’intero corpo elettorale che domenica scorsa ha regolarmente votato: una percentuale risibile che non cambia le cose ma che potrebbe, quello sì, invertire l’esito del voto. Perchè, viene da chiedersi, questo irrigidimento che rischia concretamente di gettare più di un’ombra sul risultato?
Non è molto meglio avere una legittimazione politica che sia da tutti riconosciuta come una vittoria sul campo invece di rinchiudersi nel vecchissimo vizio di predeterminare gli esisti con una vittoria a tavolino?
Nonostante (e da tempo) molte città italiane siano tappezzate di manifesti illegali e di pubblicità sui giornali pagate non si sa da chi (il sospetto che siano utilizzati i fondi dell’intero partito è forte) a sostegno del candidato Bersani, perchè si è voluto avvelenare il clima con un ricorso dalla miopia inaudita fatto per una pubblicità pagata dalla Fondazione Big Bang che invitava e favoriva la partecipazione al voto?
Gad Lerner, non certo un “renziano”, ha definito un vero autogol la levata di scudi contenuto in questo ricorso presentato (ed accolto) da Bersani e dagli altri candidati esclusi dal ballottaggio.
L’inamovibile dirigenza democrat che ha paura di perdere e che cambia le regole in corso di gara: questo il messaggio lanciato all’elettorato Pd.
La seconda immagine è invece quella che unisce in una (inquietante) foto di gruppo, i sostenitori e gli alleati di Bersani: da Casini a Diliberto, da Bindi a Mancuso, da Fioroni a D’Alema: insomma tutti contro il rottamatore Matteo Renzi.
Ed il numero che viene in mente è 2547: i giorni trascorsi dal Pd al Governo del Paese. Con gli stessi protagonisti di sempre da vent’anni a questa parte. Ancora loro: Bersani, Bindi, Fioroni etc.
Se è vero che durante il confronto si è finalmente parlato di idee e proposte per cambiare il Paese, viene da chiedersi come mai, quando il Pd è stato al Governo, larga parte di queste proposte non siano diventate leggi e provvedimenti dello Stato.
Il motivo è semplice ed è scolpito nella memoria di chiunque: il gioco di veti contrapposti, le polemiche, le sceneggiate con tanto di minacce di dimissioni, i contrasti, interni ed esterni alle maggioranze di centrosinistra. La paralisi dell’azione politica che nel 2013, con una crisi economica e morale drammatica, nessuno si può più permettere.
Non è un caso che la frattura tra politica e società italiana si sia allargata sempre di più con una classe dirigente, di destra, centro e sinistra, che ha una credibilità che oscilla tra il 3 ed il 5 per cento, come risulta (da mesi) da tutti i sondaggi.
La riprova che i nodi non sono affatto sciolti è data dalla differenza abissale tra quello che viene detto da Bersani e quello che è scritto nel suo programma di candidatura. Nero su bianco non c’è un tema, dall’economia al lavoro, dal fisco ai diritti civili, nel quale vi sia una proposta esplicita, concreta. Il motivo è semplice: non c’è accordo tra i sostenitori di Bersani.
Il rischio, quindi, è che in queste condizioni con un Pd che respinge invece di cercare i voti, le elezioni vere decretino un verdetto con nessun vincitore chiaro.
Uno stallo del prossimo Parlamento senza una maggioranza chiara e con le idee confuse sul da farsi.
Un governo Bersani dovrebbe per nascere stringere accordi con Udc e Sel. Ed il Pd ritornerebbe sotto il 30%, in uno stato di conflitto permanente tra forze disomogenee.
Con la possibilità molto concreta che, in realtà, si faccia strada l’opzione che tutti dicono di voler evitare: un nuovo Governo Monti con una maggioranza destra-centro-sinistra costruita in Parlamento.
Col fuoco non è più possibile scherzare anche perchè Grillo e la cavalcante antipolitica vivono delle miopie di una classe dirigente rinchiusa nel Palazzo, che ancora una volta dimostrerebbe non solo tutta la propria inadeguatezza ma anche la più totale mancanza di senso di responsabilità.
Se vogliamo davvero salvare la politica e restituirle dignità, al ballottaggio debbono poter votare tutti i 128.733 iscritti: per scrivere insieme alle donne ed agli uomini di questa nostra Italia, una pagina nuova sul serio. Lasciando alla storia il giudizio sui 2547 giorni di governo del centrosinistra italiano.
Il Paese sarà comunque in buone mani alla luce di quanto scritto?
Probabilmente no, e non certo per due bravi leaders come Renzi e Bersani ma semplicemente perchè Renzi e Bersani pari non sono, visto che uno solo dei due può riuscire ad incarnare un vero cambiamento concreto: Matteo Renzi.