«Il treno delle 22.36 è soppresso». I pendolari nella stazione di Cadorna si raggruppano a capannello attorno all’unico macchinista in circolazione. «Cosa succede ora, come ci arrivo a Saronno?», chiedono tranquilli. Non c’è rabbia. Nemmeno rassegnazione. Provano solo a capire come destreggiarsi nel caos.
Il macchinista si spende in mille telefonate. Prova a capire se ci saranno treni sostitutivi, risponde alle domande, spiega a chi vuole capire meglio tutto quello che sa. Di Biesuz arrestato, di Cl e Formigoni. Degli assistenti ai treni che non si trovano, del nuovo software coi turni dei dipendenti non testato. La stazione di Cadorna è in tilt da 6 giorni. I treni cancellati sono 1375.
A un tratto la voce gli si incrina, è stanco, è notte e ha iniziato a lavorare alle 9 di mattina. Tutto il giorno così, senza programmi, in attesa di una telefonata dal centro direzionale di Cadorna che gli dica quale treno far partire.
«Avevamo detto ai sindacati di non firmare il contratto. E’ assurdo, ci hanno messo turni fino a dieci ore e altri di sole mezzore. Ci hanno ridotto le pause tra un viaggio e l’altro a dieci minuti. Io dieci ore di fila le faccio anche, ma se il treno ritarda, come posso salire in tempo su quello successivo con pause così brevi? E poi, signorina, mi permetta la volgarità, ma potrò pisciare ogni tanto?»
Lo sfogo dura un attimo. La voce torna calma. Ferma.
Poi una telefonata dalla direzione. «Allora vado sul Como? Va bene, ciao». Il macchinista saluta e si allontana di buon passo. Non si lamenta più. Lavora e basta, cerca di arginare come può il disastro fatto da altri.
«E tutto per colpa di uno che settimana scorsa è andato in Tv a vantarsi di aver tagliato i costi del 25% con nuovi turni di lavoro», aveva detto poco prima parlando di Giuseppe Biesuz, l’ad di Trenord.
Quando si allontana la gente restringe il cerchio. «Mi stupiscono i pendolari», dice uno. «Sono silenziosi, accettano la cosa e aspettano rassegnati». A me stupisce quel macchinista, invece. Pronto, dopo sei giorni di caos e dieci ore di lavoro, a salire su un altro treno da portare a destinazione.
«…solo che finora abbiamo creduto che non servisse avere anche dei buoni amministratori. Ce ne siamo fregati. Operosi sì, responsabili, e pure creativi, ma poco attenti a scegliere bene chi ci guidava».
«Arriverà anche questo, signorina», mi assicura uno del cerchio.