Alfredo Ferrante, dirigente del Ministero del Welfare, aveva pensato di candidarsi alle primarie del Pd per la selezione dei candidati al Parlamento. Aveva, appunto. Perché le cd primarie del Pd alla fine si sono trasformate in qualcosa di molto diverso. Ecco perché oggi sono lieto di ospitare su questo blog il contributo di Alfredo: perché la propaganda deve avere dei limiti e perché la riforma della politica passa anche dalla trasparenza nell’uso delle parole.
È stato alfine approvato il regolamento delle primarie per i parlamentari dalla Direzione Nazionale del Partito Democratico. Alla vigilia della riunione avevo auspicato che potessero esser presi una serie di accorgimenti che, pure alla luce delle scadenze strettissime dettate dalla vicinanza delle elezioni, consentiss ero di tenere delle primarie davvero aperte ed inclusive. I criteri resi pubblici, e approvati all’unanimità, mi sembra confermino, invece, un approccio teso al controllo del processo e alla internalità dello stesso. Avere, infatti, previsto un numero molto consistente di firme di iscritti (di soli iscritti al 2011) a sostegno della presentazione delle candidature, aver riservato al partito la successiva scrematura e, infine, avere limitato a iscritti e a coloro che avevano votato alle primarie di novembre la possibilità di votare (senza permettere registrazioni in loco) rende il tutto estremamente autoreferenziale e esprime una chiusura che segna, purtroppo, una occasione perduta di innovazione e confronto.
Sì dirà che è meglio così che nulla. Non ne sono così sicuro. E non basta marcare la differenza, certamente enorme, con altre organizzazioni partitiche caratterizzate da leaderismi di stampo sudamericano. Quel che è stato organizzato è una mera conta delle tessere, da pianificare e organizzare secondo cordate e filiere interne. Tutto legittimo, tutto ammissibile. Ma non sono le primarie che sarebbero servite al PD e, soprattutto, alla politica italiana. Il meccanismo previsto, infatti, taglia fuori volti nuovi e lascia al gioco delle pesature interne la selezione dei candidabili. Che resta una selezione interna, perfettamente comprensibile, ma che nega ogni esigenza di apertura, osmosi e ricambio che il momento storico richiedeva. In altre parole: non si mette in discussione la qualità del le figure che andranno a comporre le liste che troveremo per le politiche, ma è stata persa una preziosa occasione di arricchire lo “squadrone” con donne e uomini che, pure non organici al partito, in quello si riconoscevano ed avevano idee e proposte da sottoporre per competere. Senza pacchetti di tessere.
Troppo severo? Forse. Eppure, a leggere solo alcuni delle decine di sms che stamattina mi sono arrivati dai tanti amici e colleghi che avevano sperato in un processo aperto e senza rete ed avevano mostrato un immeritato entusiasmo alla mia possibile disponibilità a candidarmi, l’impressione che se ne ricava è che simpatizzanti ed elettori non comprendano – o forse comprendano troppo bene – i motivi di questo arroccamento a difesa degli apparati. “Regole belle e innovative, ma tutto complicato”, dice Marco. “Non finirò mai di stupirmi, ci dovrebbe essere un limite anche al numero di narici”, scrive Giovanni. Alessandro incalza con un “Non mollare, provaci!”, mentre Salvatore mi scrive che “E’ un’occasione persa, così vanno i soliti noti, cambia tu tto affinché niente cambi”. Benedetto propone:”E pensare ad un’altra formazione politica più aperta, più democratica, meno partitica”? “Occasione persa” ripete, come altri, Maria Teresa, mentre un altro Marco si limita ad un “Peccato…”. Alessandro si lancia sul classico “Mala tempora currunt”, e Francesca manda solo tre puntini di sospensione. Inarrivabile, e merita la chiusura, Massimiliano: “E secondo te questi ti ci mandavano a te a mangiare il branzino al sale a tre euro alla buvette di Montecitorio?”.
Vox populi, direbbe qualcuno, e come tale contiene sempre un grano di verità. Vediamo cosa succederà e vediamo, soprattutto, se almeno i posti nel listino riservati al Segretario saranno resi davvero disponibili alle competenze, così come, io credo, al mondo dell’associazionismo, della disabilità, della cittadinanza attiva, senza paracadutati eccellenti. Il mio personale impegno è comunque scontato: almeno, non chiamiamole primarie.
Testimonianza di Alfredo Ferrante