EsterismiIl Sahelistan: pensare a un’exit strategy prima di intervenire

La diplomazia internazionale in Mali arranca. I militari (quelli di Ecowas, dovrebbero essere in 3300 a intervenire) scaldano i muscoli. Gli agenti francesi tessono la loro tela dal vicino Burkina...

La diplomazia internazionale in Mali arranca. I militari (quelli di Ecowas, dovrebbero essere in 3300 a intervenire) scaldano i muscoli. Gli agenti francesi tessono la loro tela dal vicino Burkina Faso. E Bamako vive nel limbo del post golpe. La crisi in Mali, con il nord in mano alle tre formazioni islamiste (AQMI, Mujao e Ansar al Din) dura da un bel pezzo ed è destinata a durare ancora parecchi mesi. Due osservazioni: la prima è che quando ci sono troppi attori con cui dialogare, il dialogo è difficile. Bella forza direte voi. Sì ma qui abbiamo: una giunta golpista, un governo fantoccio (Mali), tre formazioni armate e agguerrite e infine MLNA la formazione tuareg estromessa dal nord con la forza dagli islamisti ma che potrebbe giocare un ruolo nella riconquista.

Poi ci sono i paesi vicini, tra cui il Burkina Faso, che gioca un importante ruolo diplomatico, e c’è l’Occidente: la Francia e gli Usa su tutti. I primi pronti a tutto pur di tutelare a loro influenza nell’area. I secondi pronti a una nuova crociata contro Al Qaeda tra le sabbie del deserto.

In tutto ciò, caso mai si arrivasse a un intervento militare, alla “liberazione” del nord e alla gestione di una fase di transizione in Mali, occorre tenere a mente l’Afghanistan. E ricordare l’exit strategy delle forze ISAF che lì promette di essere disastrosa.

Andare in Mali, eliminare la minaccia di Al Qaeda in territorio maliano e andarsene, potrebbe non essere sufficiente. Occorre lungimiranza. Pensare al “dopo”. Per non finire impantanati nelle sabbie del deserto.