Ammetto che erano più di 10 anni che non vedevo un film di Ken Loach. Dopo gli ettolitri di lacrime e singhiozzi profusi guardando Ladybird Ladybird e dopo che mi ci è voluta una settimana per riprendermi dalla depressione scatenata da un film come My name is Joe, mi sono presa un sacrosanto decennio sabbatico.
Questo sabato però, complice, un inaspettato weekend senza prole e un trailer che sembrava piuttosto divertente (ma sarà davvero quel Ken Loach?!?), il mio compagno e io abbiamo osato l’inosabile finora: affrontare di nuovo il rosso Ken e le sue sciagurate storie sulla classe operaia inglese.
Ora, non so se è il progredire dell’età che ha dato un po’ di insperata leggerezza al regista britannico o se lui ha pensato che ora siamo messi tutti così male che offrirci l’ennesimo film senza speranza avrebbe assunto connotazioni sadiche, fatto sta che questa volta Ken ha girato un film quasi giocondo, ricco di humor e amore e fiducia nel futuro, dove si ride molto, si fa il tifo, si partecipa e ci si intenerisce non poco, perfino.
Ovviamente i derelitti sociali ci sono anche in La parte degli angeli: il protagonista è infatti un ragazzetto sbandato con infanzia “teribbile” causa genitori violenti e alcolizzati che, dopo l’ennesima rissa, viene condannato a un tot di ore di lavori socialmente utili e siccome intanto è diventato anche padre di un bambino avuto da una brava e saggia ragazza decide di mettere davvero la testa a posto e infatti fila dritto, riesce anche a controllarsi di fronte alle peggio provocazioni di altri delinquentelli perduti, e costruisce una bella amicizia con i suoi smandruppati e meravigliosi compagni di lavoro e con il suo responsabile, un omone buono come il pane che lo aiuta, lo protegge, e più o meno consapevolmente gli offre un’occasione là dove tutti lo davano per perso.
Solo che, visto che uno lo sa che sta vedendo un film di Ken Loach, si passa tutto il film in tensione, in attesa della fregatura, della disgrazia che manderà tutto in rovina. In attesa che l’angoscia prenda il sopravvento.
Invece poi esci dal cinema tutta contenta, perché ti sei fatta un sacco di risate e perché se perfino uno come Ken Loach si consente di sperare allora, nonostante tutto, un po’ ti concedi di sperare anche tu, per te stessa, che ne hai bisogno magari, e per tutti, che mi sa che di speranza ne abbiamo bisogno in tanti.
17 Dicembre 2012