Quando prendi in mano Mani Bucate, pensi che sia il classico libro stile “La Casta”, un libro che spara a zero e che ti lascia l’amaro in bocca, oltre che una rabbia accecante. Una volta però che lo cominci a sfogliare, capisci che – più che un’inchiesta di pura e semplice denuncia – è un campanello d’allarme che viene acceso su un settore, quello degli aiuti di Stato alle imprese private, che non conquista di certo le pagine dei principali quotidiani, molto impegnati a raccontare ben altro.
Decido quindi di contattare telefonicamente l’autore, Marco Cobianchi (giornalista del settimanale“Panorama”), ed insieme a lui percorro questo lungo viaggio nelle pieghe farraginose della burocrazia statale, per capire quanto sono grandi queste Mani Bucate.
Come nasce l’idea del tuo libro Mani Bucate e che significato dai al titolo che sembra quasi già scattare una fotografia della problematica che vai ad analizzare?
Ti svelo un piccolo segreto: il titolo è stato un compromesso tra me e l’editore e naturalmente ha vinto l’editore, come succede sempre. Io avrei voluto chiamare il libro “Mantenuti” ma l’editore Chiarelettere mi convinse ad utilizzare il titolo “Mani Bucate”, che è sicuramente più d’effetto, rende ancora di più l’idea di “Mantenuti”.
“Mani Bucate” nasce dall’idea che, se l’Italia è ridotta in questo stato diciamo non brillante (se vogliamo utilizzare un eufemismo), non è solo per colpa di politici ladri o per colpa di sindacalisti corporativi. C’è anche una responsabilità fortissima del mondo degli imprenditori. Ho voluto scrivere questo libro inchiesta per vedere se questa ipotesi, che avevo in mente da molto tempo, fosse vera. Mi sono messo quindi alla ricerca dei sussidi e dei soldi pubblici che gli imprenditori italiani hanno incassato negli ultimi quindici anni, periodo che ho preso a riferimento e sul quale mi concentro. Ho scoperto delle cose che vanno al di là del bene e del male.
Cosa intendi? Ci vuoi fare qualche esempio?
Partiamo dal ‘vitello grosso’: la Fiat. Quando Marchionne ha detto che dal 2004, cioè da quando ha preso le redini del Lingotto, l’azienda non ha mai ricevuto soldi pubblici, non è che sia proprio corretto. Dal 2004 al 2011, laFiat ha goduto di sussidi pubblici cash – che sono arrivati direttamente nelle casse dell’impresa – a un ritmo costante, lo stesso ritmo dell’era pre-Marchionne. Quindi non è cambiato assolutamente nulla.
Ci tengo a precisare un paio di cose. La prima, riguarda la Fiat: laFiat è stata mantenuta con soldi pubblici. Non c’è una sola fabbrica, un solo stabilimento che non abbia ricevuto soldi dallo Stato.
La seconda precisazione che ci tengo a fare è che sì, io nel libro denuncio i soldi pubblici presi dagli imprenditori e dagli industriali ma non sono tutti così! È sbagliatissimo fare, soprattutto in questo caso, di tutta l’erba un fascio. Io, di fronte a molti industriali, mi metto sull’attenti e mi tolgo il cappello (ride, ndr). Ciò non toglie però che ci sia una classe, presa nel suo insieme, di imprenditoria italiana che con gli aiuti pubblici (i nostri soldi), ci ha fatto di tutto: li ha sprecati, utilizzati male, portati all’estero.
Infatti hai sempre avuto modo di dire che non ci sarebbe nulla di male nel finanziare le imprese con fondi statali, tutto il mondo lo fa, ma noi lo facciamo nel modo peggiore. Perché, secondo te?
Perché la particolarità degli aiuti di Stato italiani, non è quella di essere particolarmente ricchi. Noi non è che diamo più soldi alle imprese rispetto alla Germania. Quello che l’Italia fa è dare aiuti di Stato assolutamente inutili, come ha più volte riportato la Banca d’Italia per bocca di Mario Draghi, attuale presidente della Bce, come viene esplicitato dalla Corte dei Conti e dagli studiosi indipendenti e come dicono anche gli stessi Ministeri che danno i soldi alle imprese! Un esempio di ministro che si è pronunciato su questo tema è Fabrizio Barca, a capo del dicastero della Coesione Territoriale. Da questa posizione, Barca svolge un compito importante poiché di fatto, decide del destino dei soldi europei alle imprese.
In “Mani Bucate”, citi tre esempi molto interessanti sui soldi pubblici utilizzati male e/o sprecati. Li vuoi riassumere?
Certamente. Il primo è quello della pallina da golf. In Sicilia, ci sono – tra realizzati e progettati, una cinquantina di campi da golf. Mi sono chiesto come mai in una sola regione ci fossero ben 50 impianti. In seguito, mi è stato spiegato che esiste una legge regionale (se non vado errato), che stabilisce quanto segue: se tu costruisci un albergo in Sicilia, hai un aiuto economico dallo Stato, pari al 30% dell’investimento. Se accanto alla struttura alberghiera, costruisci anche un campo da golf, il rimborso sale al 50%. Ecco perché in Sicilia chiunque costruisce un albergo, costruisce anche un campo da golf. È evidente poi che la maggior parte degli impianti rimangono per lo più inutilizzati, visto che neanche in Florida c’è numero così alto di campi!
Per il secondo caso, rimaniamo in Sicilia. Parliamo della societàStm. La Stm è un’impresa che, come direbbe il Ministro Fornero, riceve “paccate di milioni”. In un anno è riuscita addirittura ad incassare – essendo un’azienda franco-italiana – ben 1 miliardo e 124 milioni di euro. Tieni presente che la Stm è portata ad esempio di come in Sicilia si possa fare impresa. Questo è probabilmente vero ma, a ben vedere, la Stm non è un esempio di innovazione. Grazie ai soldi pubblici ricevuti, ha solamente cambiato il suo business (prima produceva memorie flash) per unirsi insieme a due multinazionali nel produrre pannelli fotovoltaici.
Per par condicio, adesso parlo anche del Nord…
Prego…
Il terzo esempio significativo che cito in “Mani Bucate” è quello degli skilift. Raramente mi capita di andare in montagna a sciare, sono convinto – come dice Fiorello – che “la montagna d’estate è chiusa” (ride, ndr). Quando però ero piccolo e i miei genitori mi portavano su in montagna per sciare, prendevo ovviamente – come tutti – gli skilift. Ho poi scoperto, scrivendo questo libro, che quasi tutti gli skilift del nord Italia sono stati pagati con i soldi pubblici. Quindi sappiate che quando vi infilate quella padella sotto al sedere, per risalire la china di una montagna, quella padella l’avete pagata anche voi. I soldi che vengono stanziati per gli impianti di skilift – secondo una legge che non mi ricordo esattamente se sia regionale o statale – sono ben 5 milioni di euro e saremo costretti a pagarli per vent’anni, visto che questi sono i termini stabiliti dalla legge.
A pensarci bene ci sarebbe anche il caso della Saras di Moratti.
Ah già, quasi mi dimenticavo della Saras. Tralasciando il fatto che è stata fondata nel 1962 con un contributo statale di 40 miliardi di lire dell’epoca, ogni anno l’azienda di Moratti incassa – dalle bollette degli italiani – 130 milioni di euro. Il meccanismo secondo il quale incassa tutti questi soldi è abbastanza complicato. In parole povere funziona così: se tu vai a controllare la tua bolletta di casa, vedrai – tra le varie voci che compongono la fattura – la voce “oneri di sistema”.
Negli oneri di sistema, sono comprese diverse voci. Una di queste, riguarda i soldi che noi diamo a chi produce energia elettrica verde (da fonti rinnovabili) o ‘assimilate’. Cosa vorrà mai dire ‘assimilate’?
Non vuol dire sostanzialmente nulla ma è il meccanismo attraverso il quale la Saras, che brucia residui derivanti dalla lavorazione del petrolio, incassa dalle bollette degli italiani la cifra astronomica di cui ti parlavo prima, servendosi del cosiddetto CIP6. Il CIP6 è una delibera statale del ’92 che stabilisce l’elargizione di contributi statali a chi produce energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate. In “Mani Bucate” faccio, per la prima volta, i conti in tasca alle imprese che incassano soldi dallo Stato producendo energia elettrica da fonti assimilate. Il problema è che questi numeri non si possono sapere. Ho chiesto in tutti i modi alle autorità pubbliche che gestiscono questi soldi, di farmi sapere quante e quali sono queste imprese che incassano soldi pubblici e quanto incassa ciascuna. La risposta che ho ricevuto è che è impossibile saperlo, non lo possiamo sapere, non ce lo vogliono dire. E’ quindi vietato agli italiani di sapere a quali imprese vanno i soldi che loro pagano in bolletta!
Nel mio piccolo ho tentato di fare dei conti che mi hanno portato via molto tempo, anche perché dovevo capire quali fossero le imprese sussidiate. Oltre alla Saras, ho trovato – tanto per citare un’azienda poco conosciuta – l’Enel Green Power, c’è Sorgenia del gruppo De Benedetti, ci sono imprese del Nord che producono energia attraverso impianti idroelettrici ed infine c’è l’eolico che viene prodotto al Sud. Su quest’ultimo campo, mi preme sottolineare che – come certificato da numerose inchieste giudiziarie e diverse sentenze – è ormai noto che l’eolico al Sud è un campo d’azione della criminalità organizzata, dico solo questo.
Ultima tappa di questa bella chiacchierata, proprio la criminalità organizzata. Ciò che scrivi nel libro al riguardo credo si possa riassumere con un titolo esemplificativo: lo Stato finanzia la Mafia.
Sì, lo Stato finanzia la Mafia, spesso senza accorgersene. L’inizio del “capitolo Mafia”, lo faccio partire da una strage. Una strage di una famiglia che abitava vicino a Brescia. Nel 2004, se non ricordo male, vennero assassinate tre persone: un uomo, la sua compagna e il figlio diciassettenne. Subito esponenti locali e non della La Lega Nord cominciarono a sbraitare e a fare campagne pubblicitarie contro gli immigrati clandestini e contro l’immigrazione dall’Est.
Tutti quindi pensavano che fosse stata la solita banda delle ville. Passate un paio di settimane, un bravo magistrato bresciano – insieme alla Guardia di Finanza – scopre una verità ancora più allucinante: quella famiglia (la famiglia Cottarelli) è stata sterminata perché il padre faceva fatture false per una famiglia mafiosa della Sicilia, di modo che quest’ultima potesse ottenere aiuti pubblici dallo Stato per una serie di vigne. Evidentemente quest’uomo aveva fatto uno sgarro, e dalla Sicilia sono partiti due killer che hanno sterminato la sua famiglia. I
due sicari fortunatamente adesso sono in galera ed uno dei due è stato arrestato proprio alla fine dell’anno scorso – a distanza di diversi anni dalla strage – sull’isola di Madeira. La storia della famiglia Cottarelli, ci fa capire come la Mafia ha visto e vede negli aiuti pubblici un business molto importante. Più che altro perché è senza rischi, nel senso che è molto difficile, per un magistrato, risalire la china dei sistemi di attribuzione dei soldi pubblici ed è quindi molto facile farla franca.
“Mani Bucate” però non si chiude qui. Nel libro tocchi anche altri temi oltre a quelli che abbiamo accennato qui.
Sì, diversi altri temi: dal salvataggio di Alitalia, ai contributi notevoli destinati – tanto per farti un esempio – al film sulle Winx a diversi cine panettoni perché vengono considerati “prodotti di interesse culturale”. È un libro che vi consiglio non tanto per far salire la rabbia nei confronti della classe imprenditoriale di questo paese. Ve lo consiglio perché, dopo due anni e mezzo di lavoro, lo considero un libro inattaccabile. Io cito fatti, delibere, documenti, relazioni della Corte dei Conti, di Strasburgo. È una radiografia di un sistema malato e che quindi, come si può dedurre, andrebbe rapidamente cambiato.
MATTEO MARINI
per Wilditaly.net