Gentile Gilles Bernheim, gran rabbino di Francia, ho letto con grande interesse il saggio “Mariage homosexuel, homoparentalité et adoption: Ce que l’on oublie souvent de dire” (Matrimonio omosessuale, omogenitorialità ed adozione: Quel che si dimentica spesso di dire) con il quale lei è intervenuto nel dibattito d’Oltralpe per bocciare il progetto di legalizzazione del matrimonio omosessuale proposto dal presidente Francois Hollande (mariage pour tous). Confesso che non conoscevo questo testo prima che fosse citato da Benedetto XVI nel suo tradizionale discorso in occasione degli auguri di Natale alla curia romana. Sono di confessione cattolica ma sul tema mi pongo domande forse poco catholically correct, confortato però dal fatto che anche in Francia c’è un vivace dibattito tra cattolici, e se la Conferenza episcopale si è schierata contro il progetto di legge di Hollande, l’autorevole rivista Temoignages chretiens ha invece aperto – con argomenti che a me paiono molto interessanti – al mariage pour tous. Non ho la sua cultura esegetica, né, tanto meno, mi permetto di dare lezioni. Da semplice cittadino, nonché credente, mi piacerebbe, però, porle alcune domande, partendo dal matrimonio eterosessuale.
“La complementarietà uomo-donna è un principio strutturante nel giudaismo, nelle altre religioni, in correnti di pensiero non religioso, nell’organizzazione della società così come nell’opinione di una larga maggioranza della popolazione”, scrive nel suo saggio. “Questo principio trova, per me, il suo fondamento nella Bibbia”.
Gentile rav Bernheim, proprio nel primo libro della Bibbia da cui lei parte per ricordare che “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Genesi 1, 27), un uomo, Caino, uccide suo fratello, Abele (Genesi 4,8). Nelle pagine successive, per fare solo un altro paio di esempi, un uomo, Giacobbe, inganna il padre, Isacco, con la complicità della madre, Rebecca, per rubare la benedizione della primogenitura al fratello, Esaù (Genesi 27,1-29), e un altro uomo, Giuseppe, viene venduto dai suoi fratelli (Genesi 36,12-36). L’immagine che ne esce della famiglia è a dir poco disastrosa. Perché il primo capitolo del libro sacro agli ebrei ed ai cristiani ci mostra famiglie caratterizzate da inganni, tradimenti, omicidi? Non sono un esegeta o un maestro come lei, ma ho provato a darmi una risposta. Il Signore, forse, attraverso le pagine da lui ispirate, dice fin da subito che la famiglia può essere una benedizione o una maledizione. O meglio, la famiglia, per i credenti, è una chance che Dio dà agli uomini, ma sta agli uomini e alla loro responsabilità renderla una benedizione anziché una maledizione.
Gentile rav Bernheim, anche nei Vangeli non mancano passaggi problematici sulla famiglia. Gesù, ad esempio, dice ai suoi discepoli: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”. (Matteo, 10, 34-38). Che senso hanno, mi domando, queste parole? Forse Gesù mette in guardia dal rischio che i legami di sangue prendano il sopravvento, e cancellino, i legami nuovi stabiliti dall’alleanza tra Dio e gli uomini. Anche in questo caso, non viene contestata la famiglia, ma se ne sottolineano le possibili derive.
Gentile rav Barnheim, la realtà di ogni giorno mi conferma nell’idea di famiglia che, mi sembra, viene presentata dalla Bibbia. Mi permetta di fare solo due esempi, forse un po’ stravaganti, ma tratti dalla conoscenza concreta che ho della società italiana. Uno dei punti di forza dell’economia del mio paese sono i cosiddetti “distretti industriali”, agglomerazioni di piccole e medie imprese specializzate in specifiche produzioni e circoscritte in determinate regioni del paese. Un po’ di anni fa alcuni imprenditori francesi tentarono di importare questo modello produttivo Oltralpe, ma senza successo. Il motivo è che i “distretti industriali” si poggiano su una struttura familistica della società, dove, semplificando un po’, lo zio che taglia legna aiuta il padre carpentiere che dà una mano al fratello che vende chiodi e, alla fine, si costruiscono sedie che vengono esportate in tutto il mondo. Un’eccellenza manifatturiera tutta italiana perché in Italia i legami famigliari sono più forti che in altri paesi. C’è un’altra organizzazione economica che poggia sugli stretti legami famigliari, e che, purtroppo, riusciamo invece ad esportare, insieme ad alcuni nostri concittadini, all’estero, anche nella sua Francia, ed è la criminalità organizzata. La mafia, la ‘ndrangheta, la camorra e la sacra corona unita sono forti nel nostro paese, perché, tra l’altro, poggiano su legami di sangue che cementano fedeltà e omertà. Ancora una volta, la famiglia può essere una benedizione o una maledizione, per se stessa, per i suoi membri e per l’intera società.
Gentile rav Barnheim, ho fatto questi tre esempi – tratti dall’antico Testamento, dal nuovo Testamento e dalla ben più prosaica realtà quotidiana del mio paese – perché ritengo che le minacce più serie alla famiglia non vengano da fuori, ma dal suo interno. La famiglia è tanto preziosa quanto fragile. Va aiutata e sostenuta. Sospinta ad essere una benedizione e non una maledizione. E’ un compito enorme, e in questo lei, così come gli esponenti delle altre religioni, potete svolgere un ruolo insostituibile, attingendo alla saggezza delle Sacre scritture, confortando esseri umani che, oggi forse ancor più che in passato, si interrogano su questioni delicate come gli affetti, la sessualità e la procreazione, in cerca di consiglio e verità. Parlando in pubblico a chiunque possa ascoltarvi. Concentrando il vostro sapere non già nella preoccupazione per le nozze gay, ma nella riscoperta della bellezza della famiglia concepita dalla fede.
Invece, gentile rav Barnheim, ammetto – e vengo al cuore del suo saggio – che faccio fatica a seguirla quando riferisce che secondo un recente sondaggio Ifop il 65% dei francesi è favorevole al matrimonio gay ma conclude che tali cifre “non possono essere sufficienti a legittimare una legge”. In democrazia, in realtà, sì. Lei, però, sostiene – come fanno anche molti miei correligionari – che la legalizzazione delle nozze gay “causerebbe pregiudizio all’insieme della nostra società al solo profitto di una infima minoranza”. Lei si domanda “se l’obiettivo dei militanti non sia banalmente la distruzione pura e semplice del matrimonio e della famiglia, così come sono tradizionalmente concepiti”, utilizzando “il matrimonio omosessuale e il diritto all’adozione per le coppie dello stesso sesso” come “mezzo per fare esplodere al meglio i fondamenti della società, rendere possibile ogni forma di unione, finalmente libere da una morale ancestrale, e fare così sparire definitivamente la nozione stessa di differenza sessuale”. Lei è convinto che “i militanti lgbt utilizzeranno il matrimonio omosessuale come un cavallo di Troia nella loro impresa, ben più larga, di negare la differenziazione sessuale”. Ora, se pure i “militanti lgbt” avessero un “obiettivo recondito”, e non stessero solo legittimamente perseguendo, come tendo a pensare, un diritto di minoranza, sono convinto che quell’obiettivo sarebbe al di fuori della loro portata. In Italia, pur senza leggi sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, pacs o dico, negli ultimi anni è calato il numero dei matrimoni e, di recente, al nord del paese il numero di matrimoni civili ha superato quello dei matrimoni in chiesa. Questo, sì, è un problema per le religioni, una sfida che la secolarizzazione pone agli uomini e alle donne di fede. E’ il segnale che, in questa società, molte persone non sono più attratte dall’idea di “mettere su famiglia”, tanto meno con la benedizione di Dio. Semmai – questa sì una minaccia esterna alla famiglia – a causa della crisi economica. Penso che se una giovane coppia eterosessuale ci pensa due volte prima di convolare a nozze non sia perché nel proprio paese sono stati legalizzati i matrimoni omosessuali, bensì – e mi è dispiaciuto non trovare neppure un accenno nel suo saggio – perché non ci sono soldi, scarseggiano gli asili, non c’è lavoro, e quando c’è i contratti non incoraggiano le donne e gli uomini alla maternità e alla paternità.
Gentile rav Barnheim, dopo le perplessità che ho espresso sul suo saggio, concludo con un ringraziamento. Apprezzo il suo riferimento ai pacs (pacte civil de solidarité) e condivido il suo auspicio che “siano trovate soluzioni tecniche per porre allo stesso livello la protezione del congiunto sposato e quella del congiunto che ha stipulato un pacs in caso di decesso o di separazione”. Personalmente spero che anche in Italia sia adottata una legge siffatta. Cordialità e buon anno nuovo.