Realistico, poco confessionale, molto ratzingeriano. Il Discorso alla città pronunciato il 6 dicembre scorso nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano dal cardinale Angelo Scola non è piaciuto molto alla stampa laica e progressista. Emblematico il giudizio di Gian Enrico Rusconi su La Stampa: «È deplorevole che la laicità dello Stato sia identificata tout court con una idea di secolarizzazione che sconfina di fatto con il nichilismo», ha scritto, «se c’è uno spazio che dovrebbe essere aperto è il confronto pubblico competente e leale sui valori positivi della laicità, che sono l’unica garanzia della libertà di coscienza».Tra i critici, insomma, è passata l’idea di una posizione di chiusura identitaria della Chiesa e, più in generale, della religione cristiana, nei confronti della modernità e dello Stato laico. Non è così. Il discorso di Scola, invece, è sembrato profondamente realistico e soprattutto di grande apertura anche verso i non credenti.
Laicità o nichilismo? – Un aspetto importante, quasi il filo conduttore della riflessione dell’arcivescovo di Milano, è stato il concreto realismo, che è la prima virtù del cristiano, con cui ha affrontato la questione della laicità dello Stato. «Se astrattamente parlando si potrebbe immaginare che una legislazione in grado di ridurre i margini della diversità religiosa riesca anche a ridurre fino ad eliminare la conflittualità che ne può derivare, di fatto si verifica la situazione esattamente opposta: più lo Stato impone dei vincoli, più aumentano i contrasti a base religiosa», ha affermato Scola. Come a dire: in linea di principio la laicità dovrebbe garantire tutte le religioni e le loro visioni sull’uomo, in alcune situazioni storiche di fatto questo però non accade. Soprattutto oggi in Europa.
E qui, non a caso, il cardinale ha criticato il concetto francese di laicità: «Esso si basa sull’idea di in-differenza definita come “neutralità” delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso e per questo si presenta a prima vista come idoneo a costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti», ha spiegato. Aggiungendo subito dopo: «Nei fatti la laicità alla francese ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso».
Guardando proprio al caso francese, è evidente che la neutralità, affermata come principio, ha finito per diventare ostile nei confronti della visione antropologica proposta dalle religioni, emarginandole nel dibattito pubblico o riducendole a fenomeno residuale e folcloristico del passato. Un rischio, questo, su cui da tempo mette in guardia anche Papa Benedetto XVI come quando, nel libro Luce del mondo, ha scritto: «C’è il pericolo che la ragione, la cosiddetta ragione occidentale, sostenga di avere finalmente riconosciuto ciò che è giusto e avanzi una pretesa di totalità che è nemica della libertà. Credo necessario denunciare con forza questa minaccia. Nessuno è costretto a essere cristiano. Ma nessuno deve essere costretto a vivere secondo la nuova religione come fosse l’unica vera, vincolante per tutta l’umanità».
Ripensare l’uomo – Un altro aspetto su cui vale la pena di soffermarsi è quando il cardinale afferma che «la libertà religiosa appare oggi come l’indice di una sfida molto più vasta: quello della elaborazione e della pratica, a livello locale ed universale, di nuove basi antropologiche, sociali e cosmologiche della convivenza propria delle società civili in questo terzo millennio». Qui è interessante notare come Scola non compia una sorta di difesa d’ufficio di Dio o del fenomeno religioso ma avverte, con grande chiarezza, che questo è però fondamentale per ripensare in modo serio l’uomo. Quando poi accenna alla necessità di un «lavoro comune» e che «vita buona e buon governo vanno di pari passo» fa un invito a tutti, non solo ai cattolici, a lavorare in questa direzione. Un appello nient’affatto confessionale. Il pensare l’uomo, dice Scola, è qualcosa che coinvolge tutti. Altro che chiusura!
E cosa significa pensare l’uomo? Il cardinale, nel rispondere, cita Agostino. L’uomo è colui che cerca la verità. Ma, ecco la questione vertiginosa, non siamo noi a possedere la verità ma è la verità che ci cerca e ci possiede. Se si vuole affrontare seriamente la questione antropologica bisogna inevitabilmente riconoscere che ognuno di noi è abitato da qualcosa che lo supera. Un desiderio di apertura all’infinito che non si può né ignorare né dominare. Negare questo desiderio, come a volte fa lo Stato fintamente laico attraverso leggi discutibili, non è andare contro la religione, cristiana o islamica che sia, ma è negare l’uomo e contribuire al suo dissolvimento.