La riesumazione di un immaginario formatosi sugli sceneggiati radiotelevisivi e, più in generale, su una schiera di dialetti e miserie, abbraccia rischi di traviamento o, viceversa, aperture di comprensione poliedrica. La scrittura di Eduardo è forse tra le più esposte a diventare bersaglio o progetto alto, il carico emblematico e concreto delle sue situazioni sceniche imbraccia una poesia faticosa da restituire, se non assorbita come umanità maldestra in un mondo impietoso.
Fausto Russo Alesi – giovane e già promettente Kostja ne Il gabbiano firmato Nekrosius, oggi premio Ubu come miglior attore non protagonista in Santa Giovanna dei macelli di Luca Ronconi – attraversa con coraggio e bravura indicibili il copione corale di Natale in casa Cupiello, come fosse una riscrittura joyciana per voce sola. Un flusso ininterrotto e denso come solo De Filippo riuscì a maturare nella sopravvivenza alla guerra con l’ironia e la tragedia di vissuti spolpati, avvinghiati a un focolare oggi dimora sforacchiata, travolta da nuove scosse.
C’è allora una strana piattaforma ad accogliere l’unico personaggio moltiplicato per tutti che Russo Alesi plasma a immagine e somiglianza di una drammaturgia in cui si manifesta prepotente il vuoto di comunicazione. Le fissazioni di Luca Cupiello per quel presepio ricreato ogni anno e mai pago dei giudizi freddi del resto della famiglia, divisa tra le braccia conserte e la schiena curva della moglie Concetta, le pose da femminiello di Tommasino, le uscite improprie di zio Pasqualino e le smanie di Ninuccia, l’altra figlia maritata infelicemente con Nicolino, fabbricante di mattoni. La colla che assembla i pastori e i Re Magi diventa il borotalco per disegnare le stanze in didascalia pronunciata da un atto all’altro dei tre dove avviene la costruzione di un’assenza, un ritratto pieno di falle, come la buca nascosta da un ombrello che è il regalo natalizio per Concetta.
La rete degli equivoci e incomprensioni è cronica, ma come le intemperie che piovono dall’alto quel che non può essere arginato è il destino dei miserabili afflitti dalle proprie debolezze di ruoli, riemersi da una zolla staccata da terra e pericolante quanto il lampadario spento e poggiato sul pavimento nel primo atto. «Che brutto sogno ho fatto stanotte, ho sognato che lavoravo» recita Lucariello, che reputa almeno il presepio una faccenda religiosa, un’origine da non tradire più di quanto già la povertà non decreti con la sua mannaia. E quando Ninuccia in uno sfogo d’ira lo distrugge, serve rifare tutto da capo, riavere una sembianza di rispettabilità e considerazione perse negli anni.
La voce mutante e il corpo con i mille fremiti di un interprete cosciente, fanno delle voragini realistiche tracciate da Eduardo la “prova irrefrenabile” di una veglia che metta a tacere o punisca le malefatte da mariuolo di Tommasino, che faccia della cantilena di Concetta un segno riconoscibile quanto le goffaggini di Don Raffaele il portiere o il triste matrimonio di Ninuccia, ripescata dal polittico eduardiano con la frenesia e l’insoddisfazione di ogni lasciata persa. Quando poi è il malessere a sopraggiungere in un colpo e sospendere scontri, malelingue e “nemici di sangue”, i mille fiati accorrono allo stesso capezzale di Lucariello infermo e farfugliante. La fossa della scena è aperta e lì si cala la fine, ma non prima di aver ritagliato un mondo cieco, immerso in infermità sociali e generazioni inconcludenti.
Il contemporaneo è vivo e vegeto e, nel presepio di casa Cupiello, abitano tutte quante le versioni di un popolo che, come gli operai-attori danesi di Brecht, deve continuamente fare esercizio di osservazione per scagliare lontano l’inettitudine. Peccato soltanto che, nello stesso ritratto, la pur titanica restituzione di Russo Alesi non riesca a rilasciare fino in fondo gli umori, i pigmenti e le anime partenopee che di Eduardo raccolgono la grande magia.
Piccolo Teatro Studio Expo – Milano
dal 13 al 23 dicembre 2012
Natale in casa Cupiello
di Eduardo De Filippo
adattato, diretto e interpretato da Fausto Russo Alesi
scene Marco Rossi
luci Claudio De Pace
musiche Giovanni Vitaletti
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa