Moonrise Kingdom è al suo primo weekend nelle sale italiane. Ecco la recensione.
[questo è il dialogo più o meno fedele avvenuto ieri sera con la mia coinquilina, nonché amica di vecchia data. Ormai ci frequentiamo intensamente da dieci anni, perciò molte delle comunicazioni avvengono per monosillabi vagamente gutturali, che necessitano raffinate interpretazioni e continui sbobinamenti per chi non è allenato all’ascolto.]
“Uuh, questo weekend è uscito in Italia l’ultimo film di Wes Anderson, Moonrise Kingdom!”
“Moonrise che?”
“Massì, quello che son andata a vedere lo scorso maggio, quello che è uscito a Londra proprio un giorno prima del mio compleanno, ricordi? Potrei recensirlo, eh.”
“Ah. Ma quale, quello che dicevi non mi sarebbe piaciuto?”
“Già. Più che altro, conoscendoti, non volevo farti spendere 12 sterline per un film che sapevo non ti avrebbe entusiasmato.”
“Mmm.”
“Però ora è passato del tempo, non so se mi ricordo tutto quello che volevo dire. Hanno tutti ragione i critici veri, bisogna prendere appunti anche al cinema!”
“Beh, potresti scrivere perché a me l’hai sconsigliato, no? Quello te lo ricorderai..”
[Qui c’è bisogno di un chiarimento. Quest’amica mia, nonostante sia una testa pensante, non è in grado di ricordarsi un titolo di canzone che sia uno, un nome di regista che sia uno, un viso di attrice che sia uno. E non parlo di oscure dive polacche nei film di Kieslowski: proprio ieri sera ha scambiato Natalie Portman per una versione giovanile di Sinead O’Connor – parlo della Portman rasata post V per Vendetta. D’altronde, non si può vivere di solo cinema: e lasciatemelo dire, a meno di non essere la Portman, di cinema proprio non si può vivere, affatto.]
Ma torniamo a noi.
“Fai così: inizia raccontandomi la storia a grandi linee, e poi mi dici quali sono i pezzi che meritano, quelli che non valgono la pena, vedrai che qualcosa ti viene in mente.”
“La storia è semplice, ai limiti del canovaccio: nei primi anni Sessanta, due ragazzini di dodici anni che vivono in un’isola del New England e sono amici di penna da quasi un anno decidono di organizzare una fuga d’amore, e tutti gli adulti gli vanno appresso.”
[Ecco il trailer originale del film. E questo invece è il trailer doppiato in italiano. Non so voi, ma io preferisco il primo.]
“Sembra interessante.”
“Se però vai al cinema per vedere storie piene di colpi di scena e di evoluzioni complicate, lascia perdere: in Moonrise Kingdom non succede molto di più.”
“Allora cosa c’è di bello in questo film?”
“Beh, per esempio gli attori: nonostante sia partito dal nulla e tuttora sia abbastanza un pischello dell’industria cinematografica, Wes Anderson riesce sempre a radunare dei cast stellari per i suoi film – e come per Malick, tutte le superstar ingaggiate accettano ruoli a pari merito, sono tutti parte di un ‘coro recitante’ mansueto e docile nelle mani del regista. In quale altro film trovi tutti insieme Bill Murray, Edward Norton, Bruce Willis, Tilda Swinton, Frances McDormand e Harvey Keitel?”
“Non ne conosco nessuno…”
“Vabbé. Allora, un altro aspetto pregevole del film è il design: ogni dettaglio all’interno delle case, nella scelta dei vestiti e degli oggetti è super curato, assolutamente fedele all’atmosfera dell’epoca, con in più il famoso tocco ‘alla Anderson’ che tanto piace ai suoi fan, una specie di realismo magico che è al contempo verosimile e strambo … come ne I Tenenbaum!”
“Ah. Insomma, delle belle immagini e dei bei colori? Ma bastano per fare un bel film?”
“Non lo so. Forse, l’interesse di Moonrise Kingdom sta nei continui rimandi metacinematografici agli stessi film di Anderson: il leitmotiv dei genitori assenti o irresponsabili, degli adolescenti spostati, i poveri cagnolini che ci vanno di mezzo. Se ci pensi, è un po’ come Almodovar, più invecchia più i suoi film sono una variazione, un gioco sempre diverso su una poetica che si è raffinata negli anni. Eppoi, è il settimo film che Anderson gira con Bill Murray – e sai quant’è difficile riuscire a beccare Bill Murray per girare un film…”
“No, non lo so.”
“Mmm. Aspetta, ce l’ho! Il cinema di Wes Anderson è pure pieno di riferimenti alla cultura popolare: ad esempio, Moonrise Kingdom non è soltanto una storia, è anche una partitura musicale. Il film si apre su A Young Person’s Guide To The Orchestra del compositore inglese Benjamin Britten. Non la conoscevo, ma è molto interessante, cerca di spiegare il funzionamento di un’orchestra attraverso variazioni su brani di Henry Purcell. Se ci pensi, anche Moonrise Kingdom è un’opera collettiva, che gioca su una trama prestabilita e ha come protagonisti dei giovanissimi ragazzini un po’ nerd.”
“Beh, ma se uno non lo conosce questo Britten, come lo può apprezzare?”
[Già, come lo puoi apprezzare? Il cinema di Wes Anderson secondo me è un po’ così. Se non sei neanche un pochino un film geek, immerso in un certo tipo di cultura cinematografica, a nuotare a tuo agio in tutti i suoi riferimenti intra- ed extra- testuali, gli universi color pastello del regista texano lasciano tiepidi se non proprio freddini. Moonrise Kingdom è un film piacevole, a tratti coinvolgente, splendidamente fotografato e recitato. A volte però questa bellezza sembra rimanere tutta lì, in superficie, un gioco intellettuale un po’ fine a se stesso.]