La raffica di proclami, intimazioni ed espulsioni che il leader del Movimento Cinque Stelle sta mettendo in atto è solo un piccolo assaggio di quello che accadrà non appena costituiti i gruppi parlamentari.
Grillo ha senza dubbio azzeccato tutte le mosse delle sue campagne elettorali (come ha sempre fatto il Cavaliere), ma non conosce la fatica del governare, dello stare “dentro” le istituzioni e se ne dovrà rendere conto nei prossimi mesi, pur collocato all’opposizione.
Guardate cosa accade sistematicamente da due decenni: nascono liste elettorali che eleggono un certo numero di persone. Poi iniziano a subire mutazioni, vittime degli spasmi dolorosi che provoca la ricerca spasmodica del consenso di piazza combinata con il tentativo (quasi sempre vano) di contare qualcosa nel Palazzo.
Da Bertinotti a Di Pietro sono davvero tante le vittime di questo tira e molla.
Qui c’è tutto il male della politica moderna, che in Italia trova una delle applicazioni più estreme.
Nessuno si applica ad imparare l’arte del governare, tutti pensano (e agiscono) come fossero in una perenne campagna elettorale, riempiendosi la bocca di proclami puntualmente destinati a finire nel cestino dei buoni propositi.
Facciamo l’esempio di due cavalli di battaglia del Cavaliere: la riduzione della pressione fiscale e la riforma della giustizia, con separazione delle carriere tra PM e giudice.
Ogni volta vengono agitati in tv come elementi irrinunciabili (è successo con l’IMU anche domenica su Canale 5), ma rimangono parole in libertà, poiché non riescono a diventare atti di governo o norme.
Lo stesso vale sinistra in materia di lavoro: tutti parlano di coniugare crescita con giustizia sociale e intanto il Pil langue e la disoccupazione sale.
La verità è che stare “dentro” il sistema richiede nervi d’acciaio e grande preparazione.
E, soprattutto, richiede partiti forti, veri e determinati.
Proprio quello che non abbiamo (anche se il Pd ci assomiglia almeno un po’).
18 Dicembre 2012