Scegliere in democrazia significa guardare i programmi, studiare le differenze, valutare i cambiamenti di posizione durante la campagna elettorale e poi decidere.
Il 25 novembre da disincantato socialista liberale quale sono ho scelto Pierluigi Bersani perchè ho stima del segretario, è stato un ottimo ministro, è un politico accorto, preparato e mai settario, il miglior rappresentante di quel comunismo cooperativo padano che è forse l’unico riformismo che questo paese abbia conosciuto, di sicuro per quanto attiene gli ultimi 40 anni di storia, di cui sono stato partecipe testimone.
Dubbi c’erano e tanti, per un programma assai vago (ma tutti i programmi elettorali quasi sempre lo sono), per l’incapacità di garantire un forte rinnovamento della classe dirigente del Pd, e poi per il tema delle alleanze, con quella porta sempre aperta all’oscurantismo clericale e al ginepraio d’intrecci d’interessi economici nascosti sotto l’edificante insegna di “moderatismo” e di cui l’Udc e la finalmente nascente lista di Montezemolo (per anni corteggiatissimo dal Berlusconi di cui oggi, a re disarcionato, denuncia i palesi disastri) sarebbero rappresentanti legali.
Il confronto tv di mercoledì scorso ha confermato tutti i limiti e chiarito quasi nulla del molto che poteva essere chiarito. Bersani, che vincerà certamente anche grazie ai voti degli elettori di Vendola, della Cuppato e di Tabacci, ad ingrossare un già importante vantaggio di nove punti percentuali, si è confermato nella vocazione di voler fare più che il leader una sorta di “buon padre di famiglia” del “nuovo” centrosinistra (le tante citazioni di parroci e papi a scanso di nomi storici della storia della sinistra sono a loro modo indicative di un riflesso nemmeno tanto incoscio), l’amministratore di condominio di un centrosinistra proteiforme in cui le destre culturali siano partecipi in prima fila con tutto il loro potere di veto già ampiamente sperimentato e con i soliti 5-6 minipartitini pronti a ricattare su tutto.Una riedizione ammodernata, almeno nelle insegne, dell’Ulivo di prodiana memoria che nella sua seconda esperienza di governo, dopo l’encomiabile prima, fu il miglior viatico per la seconda vittoria di Berlusconi.
Senza entrare nella disputa sulle regole di questi giorni che non interessa nessuno, tranne i molti che avrebbero potuto e voluto votare dopo il faccia a faccia in tv e non potranno farlo (che senso ha parlare a milioni di persone in tv se poi fai muri per non farle votare?), un elettore laico non tifoso e non condizionato da pregiudizi sulle persone si chiede se è questa l’ipotesi di governo di cui questo paese avrebbe bisogno.
A mio avviso no, semplicemente perchè abbiamo già dato su questi schermi e non possiamo più permetterci una politica debole. Abbiamo bisogno di un governo, legge elettorale permettendo, che non vada oltre i due-tre partiti e non si estenda oltre confini impropri per la sinistra.
Abbiamo bisogno di un governo che si impegni subito a dare risposte a chi a votare non va più riducendo i costi della politica, garantendo che chi siede in parlamento da lustri torni ad un lavoro (salvo poche eccezionali e giustificate situazioni), abolendo enti inutili e razionalizzando i servizi. Abbiamo bisogno di un governo che si impegni a dare sostegni a chi perde il lavoro che non siano assegni assistenziali ma servizi di riqualificazione reali per tornare prima possibile operativi. Abbiamo bisogno di un piano straordinario di opere pubbliche sul territorio, abbiamo bisogno di riconoscere subito i diritti delle coppie di fatto anche omosessuali abbandonando il fanalino di coda dei diritti civili, abbiamo bisogno di una politica estera che guardi a Obama più che alla Merkel come ideale compagno di viaggio per la ripresa anche economica, abbiamo bisogno di una politica che coniughi solidarietà con la parola libertà, che guardi al merito come un valore di sinistra, così come l’industria che dà lavoro senza chiedere contropartite alla politica sapendo stare da sola al passo della concorrenza. Abbiamo bisogno di una politica che sappia fare scelte impopolari e dire “no” quando è necessario anche se ti fa perdere voti.Abbiamo bisogno di una politica autonoma dalla Chiesa, dai sindacati e da tutti quei poteri che in Italia si dà per scontato condizionino la politica senza essere stati votati. Abbiamo bisogno di entrare nel nuovo secolo con una politica che rappresenti in primo luogo chi oggi lavora portandosi sulle spalle le conseguenze degli sprechi degli ultimi 30 anni e che si sforzi di parlare il linguaggio dei 30-40 enni senza mortificare l’esperienza dei più anziani. Abbiamo bisogno soprattutto di accelerare l’evoluzione del bipolarismo italiano verso un sistema bipartitico in cui il partito democratico possa diventare davvero la centrale di sintesi di tutte le colture riformiste italiane, non solo quindi di quelle cattolico democratica e socialdemocratica, ma anche di quelle ambientaliste e liberali, per decenni fin troppo neglette ed emarginate dal Pantheon delle vere tradizioni di sinistra.
Su tutto questo solo un candidato in questi giorni ha dimostrato di voler prendere impegni certi subito, dai primi 100 giorni, senza dover intavolare tavoli e trattative con nessuno. Può darsi sia tutta solo strategia elettorale, però l’impegno c’è, se non lo rispetterà saremo i primi a denunciarlo. Per ora, per quel che vale, in base a queste sintetiche considerazioni e tante altre ben importanti preoccupazioni, domenica il nostro voto di paziente testimone partecipe delle vicende della sinistra italiana, andrà a Matteo Renzi.Nella speranza che il probabile vincitore di queste Primarie sappia comunque riconoscere che anche grazie alla candidatura del sindaco di Firenze, anche grazie ai tanti che grazie ad essa s sono avvicinati alla politica, forse il PD del XXI secolo potrà nascere davvero.