All’inizio avevo pensato al cenotafio. Esiste un monumento sepolcrale che viene eretto nelle chiese in memoria di una persona illustre e che si chiama cenotafio. Santa Croce a Firenze ne è piena. Non è una tomba, perché non c’è la salma della persona illustre, sepolta altrove, è un monumento commemorativo: un cenotafio appunto che vuol dire proprio “tomba vuota”. Con tutto il rispetto per Mario Monti a cui auguro lunghissima vita, la “Lista per Monti” che si preannuncia e di cui sapremo di più nelle prossime ore potrebbe non essere capitanata da Mario Monti, sarebbe il suo cenotafio elettorale. È il monumento all’uomo politico, ma l’uomo politico non c’è dentro, non si presenta a capo della sua lista! E lui sarebbe ma non farebbe il capo di questa lista o di confederazione di liste.
Ma poi un lucidissimo articolo di Galli Della Loggia sul “Corriere” di oggi dal titolo “Un sentiero assai stretto” – in cui vengono prospettati in tutte le sue varianti gli esiti di una discesa di Monti nel complicatissimo agone politico italiano-, mi ha fatto pensare a Pirandello, alla sua “mezza filosofia” (come la chiamava Sciascia) all’essere una cosa e sembrarne un’altra, essere una cosa per sé e una in sé, essere e apparire, essere per sé ed essere per gli altri, insomma quel rompicapo in cui i dialettici siciliani amano ficcarsi dai tempi di Gorgia.
Se infatti – argomenta Galli Della Loggia – si presenta come riferimento di una confederazione di liste, sarebbe il capo politico di questa lista o solo il capo simbolico, per procura? Farebbe ma non sarebbe? Nel caso in cui questa confederazione di liste ottenesse la maggioranza sarebbe il solo capo politico europeo privo di un partito e senza essere passato dalle urne. Insomma farebbe e non sarebbe anche qui? Nel caso in cui venisse sconfitto e Bersani diventasse il capo del governo Monti cosa farebbe e cosa sarebbe? Il capo dell’opposizione oppure abbandonerebbe il campo? Non farebbe e non sarebbe? E chi l’ha votato? Ha votato un fantasma?
Le variazioni sono davvero pirandelliane, e per quel tanto che c’è di teatro nella vita (più di quanta vita ci sia nel teatro in verità) Monti, come tutti noi, sarebbe persona ad un tempo e personaggio. Sarebbe una cosa per sé e una cosa per gli altri, maschera e volto, persona e personaggio, forma e vita.
La persona Monti, in queste ore di difficile scelta, davanti al rischio di perdere il ruolo di personaggio di Presidente del Consiglio ma tentato dall’ambizione di esserlo comunque quel personaggio, potrebbe mormorare come il Padre dei Sei Personaggi in cerca di autore:
Mah! Signore, ciascuno – fuori, davanti agli altri – è vestito di dignità: ma dentro di sé sa bene tutto ciò che nell’intimità con se stesso si passa, d’inconfessabile. Si cede, si cede alla tentazione; per rialzarcene subito dopo, magari, con una gran fretta di ricomporre intera e solida, come una pietra su una fossa, la nostra dignità, che nasconde e seppellisce ai nostri stessi occhi ogni segno e il ricordo stesso della vergogna. È così di tutti! Manca solo il coraggio di dirle, certe cose!
Ma una volta diventato quel personaggio, si potrebbe poi trovare in compagnia di persone non gradite. O gradite come personaggio e non come persona: Berlusconi o Ignazio La Russa, oppure quell’Angelino che a un segnale del capo gli aveva scatenato l’inferno. E preso dallo sconforto potrebbe mormorare:
Creda, creda, signore, che io sono un personaggio non “realizzato” drammaticamente; e che sto male, malissimo, in loro compagnia! -Mi lascino stare!
Insomma potrebbe mormorare a se stesso.
Intuisco, intuisco che c’è materia da cavarne un bel dramma! (…) Ma no, signore: quel tanto che ciascuno recita nella parte che si è assegnata, o che gli altri gli hanno assegnato nella vita (…) Difficilmente potrà essere una rappresentazione di me, com’io realmente sono. Sarà piuttosto – a parte la figura – sarà piuttosto com’egli interpreterà ch’io sia, com’egli mi sentirà – se mi sentirà – e non com’io dentro di me mi sento.
Potrebbe anche dirsi:
Qua siamo a teatro! La verità, fino a un certo punto!
Non può stare che un personaggio venga, così, troppo avanti, e sopraffaccia gli altri, invadendo la scena. Bisogna contener tutti in un quadro armonico e rappresentare quel che è rappresentabile! Lo so bene anch’io che ciascuno ha tutta una sua vita dentro e che vorrebbe metterla fuori. Ma il difficile è appunto questo: farne venir fuori quel tanto che è necessario, in rapporto con gli altri; e pure in quel poco fare intendere tutta l’altra vita che resta dentro!
Un personaggio, signore, può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre “qualcuno”. Mentre un uomo – non dico lei, adesso – un uomo così in genere, può non esser “nessuno”.
Oppure potrebbe sfuggirgli di mano il copione che s’è dato:
Quando un personaggio è nato, acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che può esser da tutti immaginato in tant’altre situazioni in cui l’autore non pensò di metterlo, e acquistare anche, a volte, un significato che l’autore non si sognò mai di dargli!
Potrebbe infine come un personaggio del teatro gesuitico stare nell’una e nell’altra condizione, di persona e di personaggio, come tanti democristiani d’antan: un delizioso e mellifluo Mariano Rumor, un ineffabile e pretesco Emilio Colombo. Mettere assieme le parti sparte di personalità esplosive come schegge di una bomba e farle vivere, convivere comunque nella contraddizione e nella dissimulazione, piuttosto che farle morire nel buio di una troppo esigente coscienza. Dare soddisfazione al mondo? Vivere non per sé ma per gli altri? Come personaggio che gli altri vorrebbero e non come persona noi vorremmo essere?
Ma infine dopo lungo penare potrebbe anche esplodere:
Finzione! realtà! Andate al diavolo tutti quanti! Luce! Luce! Luce!