Sembra davvero inconcepibile per gli occhi odierni, ma c’è stato un tempo in cui nelle cattolicissime penisole italiche e iberiche la prostituzione era affare di Stato, protagonista di scelte governative da parte delle autorità civili e religiose.
“Nei primi anni del Cinquecento le case di prostituzione che sorgevano vicino al fiume, a Siviglia, erano considerate un investimento lucroso e rispettabile, al punto che oltre alla municipalità stessa ne erano proprietari enti ecclesiastici (incluso il capitolo della cattedrale), ospedali e comunità religiose”.
(da “Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia”, editrice Laterza, di Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia, pag. 169).
Dall’interessante lavoro delle due studiose, apprendiamo altri fatti storici molto interessanti. Ad esempio che i guadagni delle meretrici erano sottoposti a tassazione, fin dal Medioevo. Dopo lunghe e complicate discussioni, la maggioranza dei giuristi cristiani e dei canonisti del XIII secolo sostenne che le istituzioni ecclesiastiche avrebbero potuto beneficiare di elemosine e donazioni derivanti dalla prostituzione.
Visto che alle prostitute veniva riconosciuto il diritto di ricevere il proprio compenso dal loro lavoro, avrebbero anche potuto donarlo.
Da lì a sottoporre i guadagni del meretricio a tassazione il passo fu relativamente breve. “Meglio esigere le decime e usarle a fini pii piuttosto che lasciare che il denaro fosse speso in inutili e peccaminose vanità”, è l’interpretazione fornita da Pelaja e Scaraffia.
La prostituzione diventò così un servizio di pubblica utilità, da controllare e regolamentare. I bordelli si insediarono nei quartieri centrali delle città francesi, italiane, spagnole e di tutta Europa. Per molti bilanci municipali le imposte di concessione diventarono delle voci importanti, persino in Spagna durante il periodo dei Re Cattolici.
Bordelli municipali e bordelli privati, funzionari che lavoravano alla regolamentazione, magistrati che rappresentavano in giudizio le prostitute che reclamavano contro abusi e insolvenze (il diritto canonico infatti proibiva loro di reclamare in prima persona). Nella Firenze del ‘400 esisteva l’apposito Officio dell’Onestà. La stessa funzione veniva svolta a Bologna negli stessi anni dall’Ufficio delle Bollette, che redigeva pure il registro delle lavoratrici dei bordelli.
Prostitute tutelate dalle magistrature civili, dunque, donne “perse” considerate degne di assistenza e redenzione dalle autorità religiose, sulla scorta della figura di Maria Maddalena. Il libro di Pelaja e Scaraffia cita diverse esperienze di conventi e ricoveri gestiti da istituzioni ecclesiastiche e laiche, destinate ad accogliere le prostitute, proteggerle, instradarle verso una vita penitente o verso il matrimonio, che avrebbe sancito il loro ritorno alla comunità dei “normali”.
Fiorirono in tutta Europa, ricevevano donazioni da potenti in cerca di visibilità o direttamente dalle congregazioni religiose, soldi che diventavano anche delle doti che permettevano alle donne di prendere marito.
A Firenze, la Casa delle Malmaritate veniva finanziata per una parte dai proventi della Magistratura dell’Onestà. Le tasse pagate dalle prostitute per il loro lavoro, così, servivano anche per aiutarle nel riscatto sociale.
Siamo nell’anno 1579.