Non riesce ad arrivare in aula il decreto per il riordino delle province italiane. Il motivo? Troppi emendamenti. Ennesima dimostrazione plastica del trend degli ultimi mesi: il Governo Monti propone, i partiti disfano. L’ennesima smentita per chi si lamenta che il Governo non abbia fatto abbastanza sul fronte dei costi della politica. Monti e i suoi ministri ci hanno provato, ma ogni volta, dalle liberalizzazioni alla riforma del lavoro fino alla spending review, le resistenze dei partiti sono diventate una vera e propria guerriglia parlamentare. Per verità storica è il momento di dire con chiarezza che se l’azione del Governo è apparsa a tratti debole è in gran parte colpa di questo Parlamento colonizzato da irresponsabili. Gli alfieri della conservazione sono ovunque da destra a sinistra e sempre in maggioranza per un’assemblea legislativa specchio di un Paese immobile, arroccato, corporativo. Le immagini peggiori del Paese sono quelle dei dipendenti delle Province da abolire che protestano nelle piazze e quelle dei Parlamentari che bloccano le riforme. La paura dell’impopolarità e la conservazione del consenso fine a se stesso sono il segno più tangibile ed evidente delle difficoltà che gli Italiani hanno nel rapportarsi con i sacrifici e le riforme. Vanno sempre bene, purchè non investano privilegi travestiti da diritti acquisiti. C’è un’epoca dalla quale il nostro Paese non sembra mai essere uscito: è l’Italia del 1200, quella dei Comuni. Quei Comuni capaci di esprimere tutta l’italianità in pochi chilometri quadrati. Dal fiorire delle botteghe, della manifattura, del commercio, dell’arte fino alle lotte fratricide tra guelfi e ghibellini, tra popolo grasso e popolo minuto, al mantenimento del statuso quo, al fiorire delle sempiterne corporazioni. In Italia esiste un medievalismo strisciante e mai sconfitto che si districa tra la cortigianeria delle Signorie ed il corporativismo dei Comuni, il tutto condito da un campanilismo prepotente capace di bloccare le scelte di politica generale. Fino a che non sapremo sconfiggere il medievalismo contemporaneo ed aprire ad una stagione di riforme capaci di sacrificare progressivamente conflitti d’interesse, corporazioni e localismi non ci sarà nessun metaforico Rinascimento per questo Paese.
11 Dicembre 2012