Questa storia della Lista Monti, comunque finisca, dovrebbe far riflettere Bersani. Sul tavolo abbiamo due ipotesi. La prima prevede, per l’appunto, una lista capeggiata dall’attuale premier di incerta forza elettorale ma difficilmente maggioritaria. La seconda vede il premier “tecnico” destinato al Quirinale per sette anni in un ruolo che, come hanno dimostrato tutti i presidenti della repubblica, non è decorativo o simbolico ma nettamente politico. Chiunque sceglierebbe la seconda ipotesi sia per il bene di Monti sia per quello del paese.
È vero che la candidatura al Quirinale è un terno al lotto e che tanti hanno fallito l’obiettivo pur essendo convinti di avere in partenza la maggioranza dei grandi elettori. Per di più, il centro-sinistra dovrà fare i conti con la candidatura di Romano Prodi che ha molti seguaci, Vendola è fra questi, e che potrebbe dividere il Pd. Non a caso c’è chi immagina la coppia Prodi-Monti con il primo al Quirinale e il secondo a palazzo Chigi mandando così le primarie del Pd a farsi benedire.
In ogni caso lo scenario che si presenta più probabile vede Monti come candidato forte all’alto colle. Invece si sta discutendo dell’ipotesi che guidi una lista o listarella di rottamandi della prima repubblica per chiamare a raccolta l’opinione moderata di questo paese. Sembra uno scambio ineguale. Qui dovrebbero scattare le antenne di Bersani. Perché Quirinale no e palazzo Chigi sì? Perché Monti dovrebbe fare questa scelta e perché tanti lo spingono a farla? La risposta è una sola, l’ostilità verso la sinistra.
Questa ostilità, a dare uno sguardo alla sequenza dei risultati elettorali dal dopoguerra a oggi, è maggioritaria. Per un tempo ebbe la motivazione anti-comunista. Oggi, in parte, la riflette ancora, in altra parte è invece sfiducia verso la sua capacità di governo. Molta parte di questa ostilità nasce da un preconcetto. La sequela di insulti che mi becco su questo giornale da lettori che descrivono a tinte fosche il mio mondo lo dimostra. Però c’è anche chi mette in campo argomenti seri. Il primo riguarda il sospetto di statalismo della sinistra. Non c’è dubbio che questa cultura è parte dell’album di famiglia, condiviso dalle socialdemocrazie e rinnovato da quanti, in Europa e negli Usa, dalla crisi del 2008 hanno preteso di uscirne con massicci interventi statali a favore del sistema bancario.
Lo statalismo è visto come un pericolo soprattutto in chi associa questa cultura con inefficienza e clientelismo. Bersani dovrebbe quindi indicare come una sinistra di governo può sciogliere questo nodo.
Il secondo pregiudizio riguarda una specie di impermeabilità della sinistra. Mi ha telefonato un caro amico che ha votato Renzi e che ha dubbi se votare Bersani. Che cosa lo aveva convinto a votare Renzi? L’idea che il sindaco di Firenze sparigliasse e frenasse l’avanzare della nomenklatura. Io credo e so che parte della nomenklatura si è schierata con Renzi ma non voglio riaprire una discussione sulla quel pesa (o no?) il responso definitivo degli elettori delle primarie. Bersani però dovrebbe fare un gesto di rassicurazione verso il mondo non di sinistra che, però, potrebbe votare a sinistra. Questo gesto è l’apertura delle liste e il rinnovamento della compagine di governo nel caso di vittoria.
Credo che le primarie per i parlamentari siano una buona via d‘uscita ma mi permetto di suggerire un metodo antico pensando ai bei nomi della cultura che il vecchio Pci eleggeva a gogò per dar prova di apertura. Molti di questi personaggi non sopravviverebbero alla contesa delle primarie ma sarebbero indispensabili nel parlamento.
Bersani dovrebbe fare subito un elenco di nomi eccellenti e metterli in prima fila. Lo schema deve essere opposto a quello che portò avanti Veltroni all’inizio di questa legislatura. Non nomi simbolici ma simboli reali di per un partito che si è finalmente aperto. Bersani dovrebbe cioè incorporare un pezzo di cultura e di mondo montista per convincere il professore a fare la sua parte di uomo delle istituzioni e non il portavoce di Casini, Fini e Montezemolo.
Sono piccoli consigli per non nascondere il capo nella sabbia. Nella diffidenza verso la sinistra non c’è solo un fastidioso pregiudizio ma anche un grumo di problemi reali che solo con un gesto di leadership può essere sciolto.