Sotto il fuoco (neanche poi tanto) amico della rediviva banda B., cade il sogno di un Paese che a fatica riprendeva confidenza con una certa normalità. Da domani saremo più soli e più simili a noi stessi, saremo – per dirla tutta – punto e daccapo. A fare i conti con le cifre impazzite delle borse, l’indignazione per i sacrifici di cui ci siamo fatti carico e la faccia a terra degli investitori esteri, ci ritroveremo nostalgici di un presente che ci siamo persi come sabbia tra le dita. L’impressione, tristissima, è che la modesta ambizione dell’italiano medio possa quindi realizzarsi: allargare i privilegi, invece che conquistare i meriti col sudore dell’impegno o la naturalezza del talento.
Domani saremo di colpo noi stessi, o meglio: tireremo fuori gli istinti peggiori, le nostre uniformi da servi, gli striscioni logori di tifosi. Piomberemo in un attimo nel deserto di idee che ospiterà un leader tronfio o tonto che fa a gara di populismo con un pupazzo malconcio e rancoroso. Resteremo senza alibi di fronte alle espressioni attonite dei nostri partner internazionali, incapaci di dare una spiegazione di buon senso. Ci metteremo probabilmente, in questo rattrappito tentativo di chiarificazione, un riferimento alle clientele, una maledizione ai corporativismi, una bestemmia rivolta ai partiti. Avremo a nostra disposizione l’armamentario vintage dei luoghi comuni del nostro disarmo civico, di tutte quelle volte in cui abbiamo sognato un Paese diverso e ci siamo svegliati al cospetto della grigia realtà, a suon di pizzicotti. Poi, verranno i titoli di coda.
Prima di spegnere il proiettore, tuttavia, ripenseremo ad un anno di serietà – quel tempo in cui il cambiamento sapeva di novità e non di imbarazzo, ripenseremo dunque alle mille occasioni sciupate. Ci metteremo poco, come al solito, ad assolverci: siam fatti della stessa sostanza delle indulgenze. Non è poi in fin dei conti così tragica la faccenda: il ritrovato protagonismo degli scagnozzi fautori del declino in corso ce li renderà tutto sommato simpatici (affatto differenti dalle loro peggiori emulazioni) e ci ritroveremo a strombazzare esultanti al richiamo dei loro proclami. Con la stessa maestria con cui eludiamo le nostre responsabilità, chiuderemo un occhio per questi «mischini» che un po’ avevano ragione a lamentarsi dell’intollerabile cessione di sovranità ed oggi si riappropriano dell’antico immobilismo.
È un “noi„ incosciente e spregiudicato il protagonista di questo lamento. L’interim del prof. Monti era un mandato ad orologeria: ovvio, ma – dopo un anno di riappacificazione nazionale e coesione istituzionale – era legittimo attendersi una tregua, un cessate il fuoco diretto a quei soldatini alti poco più di un mignolo che presidiavano prepotentemente i portoni del futuro. Poi, per carità, ce ne faremo una ragione, racconteremo in giro che abbiamo scherzato (secoli di commedia dell’arte saranno pure serviti a qualcosa!). Mica pensavate davvero che avessimo archiviato in un colpo solo nani e ballerine, conflitto d’interesse, amazzoni e pretoriani, bulli e pupe, bandane e trapianti, Bondi e Bindi? Mica pensavate di aver compiuto non inutilmente 23 anni? Ripiomberete nel tempo felice della vostra infanzia, dopo 20 anni di vuoto: una sorta di cura anti-age.
Il clima di questa recitata campagna elettorale – ce lo hanno fatto capire fin da subito – sarà musica per le orecchie degli estremisti (si badi: l’estremismo è una gran cosa, se virtuoso: se significa, in sintesi estrema, tenacia dei progetti). La pantomima cui assisteremo sarà quella dei pupi incoscienti, pronti a sacrificare la serietà sull’altare del consenso. Per un giovane che abbia tra le mani un biglietto aereo o un cellulare sempre connesso o il contatto di un collega straniero, lo scenario è ad oggi il peggiore che un sabotatore professionista potesse disegnare. Le forze della conservazione ed i forse dell’avvenire avranno probabilmente il sopravvento, grazie anche ad una propaganda screanzata – sempre efficace in tempi di somma disperazione.
Oppure, noi che abbiamo sperimentato la distanza e la differenza – di colpo rivelatisi indizi di credibilità e buongoverno, dobbiamo poter lavorare alla costruzione di un Paese maturo e responsabile, di una alternativa alle dinastie evidentemente impresentabili, lessicalmente opinabili ed esteticamente raffazzonate. E non per un astio generazionale né per una convenienza personale, ma per una semplicissima questione: lavare via l’onta della vergogna non tanto per la parentesi burlesque, ma soprattutto per non aver imparato la lezione di un anno intero di interregno. Quando domani saremo soli, senza alibi, di fronte allo specchio dei nostri cincischii, proviamo a raccontarci come giustificheremmo tra vent’anni l’ignavia di oggi. Se le motivazioni non reggeranno, assumiamoci il rischio della sfida. E proclamiamo l’urgenza dell’inversione di tendenza.