A mente freddaUna stampella alla stabilità da pagare a caro prezzo? Monti nel sistema politico prossimo venturo

Molti, giustamente, hanno espresso la loro opinione sulle parole pronunciate oggi da Mario Monti e sui possibili scenari futuri che esse aprono. Provo anch'io, molto sinteticamente, a dire la mia, ...

Molti, giustamente, hanno espresso la loro opinione sulle parole pronunciate oggi da Mario Monti e sui possibili scenari futuri che esse aprono. Provo anch’io, molto sinteticamente, a dire la mia, tenendo conto dei caratteri d’insieme del nostro sistema politico e dei suoi sviluppi recenti.

Oggi come oggi, col famigerato “porcellum” i cui limiti tecnici sono probabilmente (e per un paradosso solo apparente) il vero elisir di lunga vita, alla Camera non sembra esserci gara, con una maggioranza stabile per la coalizione di centro-sinistra consolidata dalle primarie. Resta la questione-Senato, in cui il PD, SEL e aggregati potrebbero avere verosimilmente dei problemi. Infatti, è difficile che la coalizione riesca a raccogliere un insieme di premi di maggioranza regionali sufficiente a mettere insieme una maggioranza non iper-risicata a Palazzo Madama.

Stando alle intenzioni di voto, a dire il vero, sembra che la possibilità di un successo pieno ci sia. Tuttavia, in sede di elezioni i giochi potrebbero essere diversi. Fin dal suo discorso della vittoria alle primarie il 2 dicembre, Pierluigi Bersani ha sposato una linea di decisa svalutazione dello sforzo di Renzi e del consenso che ha raccolto, riconoscendogli null’altro che il merito di aver “vivacizzato” un po’ le cose, e non quello, innegabile alla luce dei dati e della collocazione dei suoi voti, di aver dato rappresentanza reale a una serie di problemi indubbiamente aperti nella cultura e nel modo d’essere del partito. La gestione delle primarie conferma la tendenza: da un lato, da esse sono esclusi una percentuale di eletti effettivi (ché con una legge che predetermina i risultati come la nostra, i numeri di chi sarà eletto più o meno si prevedono agevolmente) superiore al 35%; dall’altro, le procedure d’insieme porteranno a un’ampia presenza nei posti immediatamente successivi ai “listini bloccati” dei rappresentanti degli orientamenti federati attorno a Bersani che si sono confermati maggioritari nel corpo elettorale al quale esclusivamente si chiede di partecipare alle consultazioni. A figure lontane da questi ambienti, insomma, saranno riservati soprattutto i posti in lista destinati agli sconfitti.

Le conseguenze di medio periodo di questo atteggiamento, già simboleggiate dalle scelte di esponenti “storici” dell’area democratica come Pietro Ichino, saranno prevedibilmente quelle di una chiusura del PD, forza trainante e grande polmone di consenso d’opinione nel raggruppamento “Italia bene comune”, sul suo tradizionale elettorato, senza reali prospettive di “pescare” in modo effettivamente significativo nelle aree di voto davvero “fluttuanti” o comunque non organizzate nel loro comportamento elettorale. Un restringimento dei consensi, con tutte le conseguenze del caso in alcune regioni-chiave per il Senato (basta perderne un paio), è quindi assai ragionevole da supporre

Di fronte a questa situazione, diventa molto importante la presenza di una lista che al Senato riesca a raccogliere un numero di eletti sufficiente da poter essere una “stampella” efficiente alla maggioranza di centro-sinistra, esterna alla coalizione per aggregare seggi non compresi nei premi di maggioranza probabimente insufficienti, ma poi pronta a mettersi a disposizione per un sostegno all’Esecutivo. Il variegato centro raccolto intorno a Casini, con spalle come Montezemolo e, in posizione più o meno defilata, alcuni ministri magari di scarso profilo politico ma di grandi entrature negli ambienti “che contano” per la gestione del potere (primo tra tutti Andrea Riccardi, sostanzialmente ininfluente sul piano concreto nell’esecutivo, ma notoriamente fedele esecutore delle gerarchie ecclesiastiche e garante dei loro interessi) sembrerebbe essere in una posizione ideale. Dialoganti per vocazione, i vecchi e nuovi centristi non vedono l’ora di entrare in maggioranza, naturalmente chiedendo il conto per le agenzie economiche e sociali che li sostengono, dalla Chiesa ad alcuni elementi del big business nostrano legato per la propria sopravvivenza al cordone ombelicale con la spesa pubblica.

Tutto andrebbe bene se il consenso centrista fosse adeguato, ma allo stato attuale delle cose non è così. L’8% necessario a una lista non coalizzata (o in una coalizione inferiore al 20%) probabilmente non sarà raggiunto da questo agglomerato che in poche regioni, ed è reale l’eventualità che non si arrivi a questo livello in nessuna. In quest’ultimo caso, ci si troverebbe di fronte a un senato con tre macro-gruppi: il centro-sinistra maggioritario alla Camera avrebbe verosimilmente solo la maggioranza relativa a Palazzo Madama, e si confronterebbe con il Movimento 5 Stelle, che ha già rifiutato ogni coinvolgimento in intese, e con un PDL (forse trasformato in movimento o alleanza con altra denominazione e struttura, ma sostanzialmente individuabile come diretto successore del partito di Berlusconi) che farebbe pagare a caro prezzo un nuovo governo di larghe intese, presumibilmente per mettere a posto alcune questioni care al suo leader e per un attento vaglio a ogni provvedimento su giustizia, riforma fiscale, attacco a corporazioni tendenzialmente schierate a destra.

Qui entra in scena Monti. Probabilmente da tempo il professore può rappresentare un buon punto di congiunzione per un avvicinamento tra centro-sinistra e centristi, e per avere le mani libere in questo senso ha (per ora) rinunciato a un’ascesa al Quirinale come successore di Napolitano che tutti, anche Vendola, gli avevano esplicitamente offerto. Monti potrebbe infatti essere un ottimo ministro dell’Economia “di garanzia” per un ingresso dei centristi in maggioranza che però, per ragioni di equilibrio con la volontà di SEL e forse anche per convenienza di tutte le parti in causa, non potrà tradursi in diretto ingresso al governo. Per Vendola ciò rappresenterebbe una sconfitta, ma il “governatore” della Puglia si è dimostrato abbastanza scaltro e realista da distinguere realtà e propaganda: l’orientamento del prossimo governo di centro-sinistra su lavoro, economia e rappresentanze delle parti sociali è già scritto dagli impegni europei e dal semplice ordine delle cose (e per certi versi è una fortuna, visti i ceffi alla Fassina che si aggirano attorno al ministero del Lavoro); non è certo su quei terreni che SEL potrà avere qualche successo, e del resto Vendola stesso si sta preparando ad agire a fondo sui diritti civili, dove forse ci può essere qualche spazio nell’ambito di una trattativa di ampio respiro; infine, un arrivo di Romano Prodi al Quirinale, premio al “padrino” dell’Unione e dello storico ingresso della sinistra al governo, potrebbe rappresentare per Vendola una vittoria d’immagine e una discreta garanzia sull’orientamento delle istituzioni.

Personalmente, non credo che con questi delicati equilibri si possa andare molto lontano, ma mi sembrano la conseguenza più probabile di fronte al comportamento di individualità e gruppi di centro-sinistra e di centro. Ma ora in tutto questo il problema più urgente sembra essere un altro. Il funzionamento drogato della legge elettorale rischia di non portare in Parlamento la “stampella” per la maggioranza demcoratico-progressista quasi sicura, e di restituire a Berlusconi, nonostante una profonda crisi di consenso sua e del suo gruppo politico di riferimento, una tribuna fondamentale per gestire la politica con un’influenza ingiustificata dai fatti. E mi pare che proprio questa ennesima resurrezione seppur parziale e destinata ad essere temporanea, del suo predecessore a Palazzo Chigi rappresenti per Monti lo spauracchio maggiore. Perché sì, sarebbe una resurrezione temporanea, destinata a finire di fronte all’inevitabile nuova crisi, ma sarebbe sufficiente a ridare respiro a un settore del nostro agone politico che, Monti ha evidentemente provato sulla sua pelle, è composta da irresponsabili e governata da un leader ormai incontrollabile. Garantendo il suo appoggio più o meno diretto a una formazione di centro, Monti spera e ragionevolmente crede di poter garantire a questo gruppo il raggiungimento dello sbarramento dell’8% in un numero di regioni sufficiente a creare un gruppo parlamentare senatoriale sufficiente a marginalizzare, magari definitivamente, una destra che la lontananza dal potere porterà probabilmente al definitivo (e salutare, soprattutto per il futuro dell’opinione moderato-conservatrice italiana) dissolvimento.

Nel suo discorso di oggi, mi pare, Monti si è chiaramente posizionato in questo senso, e con i suoi riferimenti critici a Vendola e alla CGIL ha già fatto capire quale sarà il prezzo da pagare da parte del centro-sinistra per una collaborazione di questo tipo.

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