Michele Ainis pone sul Corriere della sera di oggi un problema che, inascoltato, avevo sollevato più volte su questo giornale. Parlo della necessità di conoscere in anticipo la lista dei ministri delle diverse coalizioni che si contendono i voti in queste elezioni politiche. In verità la domanda è rivolta all’unica coalizione che ha la possibilità di vincere le elezioni, visto che tutte le altre si preparano a impedirle di governare ovvero a condizionarla. Siamo di fronte a una stranezza molto italiana più volte ricordata.
Gli italiani si accingono a dare nella misura del quasi venti per cento suffragi a due forze che non governeranno né saprebbero come farlo, Grillo e Ingroia, ovvero a frenare la caduta di Berlusconi che non ha i numeri per tornare personalmente o per interposta persona a palazzo Chigi, ovvero, infine, a Mario Monti che al massimo può decidere se dare via libera a Bersani nel caso in cui quest’ultimo vincerà di pochi punti. Chiedere a tutte queste forze con quali ministri farebbe un governo è un puro esercizio dialettico visto che non accadrà mai che si trovino in questa situazione.
Qualche curiosità viene in mente solo a proposito di Monti che farebbe cosa buona se ci dicesse chi pensa di mettere al posto della Fornero o della Severino piuttosto che di Passera e della Cancellieri. La domanda è quindi prevalentemente rivolta al Pd. Qualcosa mi dice, è solo una impressione, che Bersani innoverà rispetto ai suoi predecessori e farà qualche nome prima del voto. Non gli conviene attendere oltre. La piega che ha preso la campagna elettorale è talmente miserabile che solo con un netto stacco dal dibattito attuale il Pd potrà imporre il tema della propria attitudine a governare.
Basterebbero poche informazioni. Ad esempio sul numero inderogabile di ministri, sulla percentuale di donne (ha già detto che sarà almeno il 40%) e sui nomi per gli Esteri, gli Interni, l’Economia, il Lavoro, la Cultura, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Perché è bene sapere subito? Perché questi papabili ministri potrebbero occupare la scena con prese di posizione efficaci ben prima che siano chiamati al svolgere il proprio compito. L’Italia assisterebbe cioè alla prima nascita di un governo ombra che si accinge non a fare le pulci al governo vero ma a mimare quello che realmente farà di lì a qualche settimana.
Capisco che fra i tanti guai che ha Bersani l’idea di affrontare gli scontenti, cioè i non prescelti, sia una di quelle grane di cui non vuole occuparsi. Ma il tema che gli viene proposto è quello di dire al paese pressappoco così: sono pronto, i miei sono pronti, anzi sono già all’opera mentre tutto intorno si affollano gli Ingroia, i Grillo, eccetera eccetera. Deve diventare evidente lo stacco fra una forza che sa di poter governare e tutto un mondo circostante che sa di non potere né voler governare anzi promette ai propri elettori di impedire al vincitore di governare.
È la scommessa più rischiosa perché mette tutta la posta su quell’area vasta di italiani che pensa positivo, che vuole uscire dalla secche, che non vuole macerarsi nei rancori e nelle proteste delegate a vecchi e nuovi demagoghi. Certo, un minuto dopo ci sarebbero le contumelie sui nomi scelti, sul loro tasso di novità eccetera ma se i nuovi ministri iniziassero subito a governare dicendo in trasmissioni tv che cosa avrebbero fatto quel dato giorno in cui gli toccherà di parlare, la prova che una classe dirigente c’è ed è operativa varrebbe alcuni punti in percentuale. Occorre un gioco di squadra, molti leader dovrebbero lascia fare a Bersani, alcuni accettare di essere sacrificati ma Bersani se chiamasse nel suo governo i veri cavalli di razza che ha e indicasse nomi nuovi per altri ministeri spariglierebbe alla grande. Poi se gli italiani preferiranno il casino al governo delle cose, vorrà dire che questo paese non ha scampo.