Non ce l’ha fatta quattro anni fa Walter Veltroni con il suo “non parlerò del leader della coalizione avversaria”, non ce l’ha fatta poche settimane fa Matteo Renzi con il suo aperto intereresse per il voto del berlusconiano scottato, non ce l’abbiamo fatta noi che in tanti, pur cresciuti a pane e politica, non riusciamo più a sorbirci le paginate dei giornali delle due curve pro o contro il Cavaliere Mascherato della mai nata seconda repubblica, senza pensare ogni tre minuti”ma non ho proprio null’altro da fare?”, mentre uno sbadiglio saluta quello dopo.
Va bene il marketing, gli ascolti che balzeranno probabilmente fino a strattonare la tonaca dell’immarcescibile Don Matteo, icona nazionale bipartisan dell’Italia guareschiana del prete buono nella Gubbio “comunista così”, ma la speranza che alligna nei milioni come noi che staremo lì davanti al tv e in quelli che ci staranno lo stesso ma domani ci diranno in ufficio che “ah io avevo altro da fare, e che cavolo”, soprattutto in quelli che di noi che dall’inizio di questa storia hanno preso una laurea, fatto il militare, si sono sposati e magari separati, e intanto hanno i figli che oggi sono quasi maggiorenni e ci mandano a quel paese, l’unica speranza vera, ebbene, è che Michele Santoro e più di lui Marco Travaglio, la mente lucida e luciferina di “Servizio Pubblico”, regalino a questo incartapecorito paese il miracolo della fine di un’epoca che ha segnato una generazione, il congedo dalla cronaca per passare al giudizio della storia di questo ormai ingiallito berlusconismo per il quale l’unica parola che non è stata ancora scritta e l’unica che vorremmo ancora vedere è un banalissimo”ciao”.
Da domani i giornali vivisezioneranno le battute e i tic dei presunti contendenti avversari per stabilire chi dei due sia il vincitore, i sondaggisti valuteranno l’impatto sugli elettori e l’efficacia della scorribanda nella tana del lupo del Berlusconi lottatore coriaceo che, per una volta in cocente distacco dalla sinistra, le prova tutte pur di cercare il recupero, cercando di scatenare la sua sempreverde capacità di seduzione anche sui suoi più strenui e coriacei avversari (una sorta di calo della carta della “sindrome di Stoccolma), quelli che per piegare la schiena negli anni della Raiset del monoscopio arcoriano furono cancellati dai palinsesti nella quasi indifferenza degli ordini dei giornalisti e delle cattedrali del giornalismo che si dice “liberale”.
E’ solo a questi tre ormai stagionati contendenti e avversari sinceri, nella morte della politica ridotta a contesa di partiti personali e campagna acquisti sui vip più alla moda, che si può chiedere di staccare la spina all’epoca più inconcludente e mediocre della storia politica italiana; un congedo che speriamo non abbia bisogno di urla, di abbandoni fuori campo, di minacce reciproche, se è vero che se il berlusconismo ci ha ridotti così l’antiberlusconismo ha rappresentato una fortuna storica ed anche economica per chi è riuscito a fare di un’iniziale persecuzione l’occasione per costruirsi uno spazio editoriale inedito e vincente.
E’ allora per questo, proprio perchè sono loro e forse solo loro, molto più di Bersani, Di Pietro, Vendola,Bossi e chissà quale altra figurina della politica da salotto tv, i protagonisti di un ventennio che non è stato solo politico, ma anche antropologico, culturale e di costume che non passerà alla storia se non come un malinconico racconto di una lunga serie di appuntamenti mancati capaci comunque di segnarci tutti nel profondo,nell’immaginario collettivo e nell’evoluzione del costume, che loro e solo loro possono chiudere questo lungo romanzo d’armi e cavalieri ribaldi, nello scaffale più alto dei ricordi e sigillarlo bene, con tutto l’arsenale di malumori e rancori irranciditi che ormai fanno solo zavorra.
Se per salutare tutto questo sarà necessario ascoltare ancora tre ore di promesse sul taglio delle tasse e il ritorno dei vent’anni per tutti, siamo disposti a farlo volentieri. Se però poi da domani cominciaste anche a parlare dell’Italia ne usciremmo tutti sollevati.