Il tornioE Hollande trova in Mali la «sua» guerra

Dopo aver a lungo sostenuto che la Francia non può svolgere il ruolo del gendarme nei paesi africani legati al suo passato coloniale, anche il socialista François Hollande si impegna in una guerra ...

Dopo aver a lungo sostenuto che la Francia non può svolgere il ruolo del gendarme nei paesi africani legati al suo passato coloniale, anche il socialista François Hollande si impegna in una guerra dagli esiti incerti. “Saremo in Mali per tutto il tempo che sarà necessario”, ha affermato e molti analisti osservano che l’intervento non sarà probabilmente né breve, né facile. Negli otto mesi dell’operazione Harmattan in Libia, la Francia non ha subito perdite. In Mali, dopo poche ore già si registra il primo soldato francese caduto durante i raid: si tratta del tenente Damien Boiteux, pilota del IV Reggimento elicotteristi dell’esercito francese, ucciso da un tiro d’arma leggera sul suo elicottero “Gazelle”.

À la guerre comme à la guerre, quindi, anche per François Hollande. Meno di un mese dopo la visita di Stato del presidente socialista in Algeria, la Francia interviene con raid aerei per contrastare l’offensiva delle forze jihadiste nel Nord del Mali, mentre il governo di Bamako proclama lo stato di emergenza. Forze militari francesi di terra hanno preso posizione ieri a Sévaré, una cittadina nel centro del paese poco distante da Mopti, località di importanza strategica al confine tra la zona controllata dagli islamisti e quella ancora nelle mani delle truppe governative del presidente Dioncounda Traoré. L’operazione è stata definita «Serval» dal Capo di Stato maggiore della Difesa Edouard Guillaud.

La conquista della cittadina di Konna da parte delle forze dell’Aqmi (al-Qaida au Maghreb islamique) e del MUJAO (Mouvement pour l’unicité du djihad en Afrique occidentale) ha fatto precipitare gli eventi. Dopo la presa di Konna, circa 1.200 ribelli si sono messi in marcia verso Mopti, che segna la linea di demarcazione fra la zona occupata dalle formazioni islamiste e il resto del paese controllato dall’esercito. Il Presidente François Hollande ha reagito immediatamente e ha fatto suo l’appello di Dioncounda Traoré, dichiarando che la Francia è pronta a sostenere l’esercito maliano, nel quadro delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nous sommes face à une agression caractérisée. J’ai donc décidé que la France répondra aux côtés de nos partenaires africains à la demande des autorités maliennes. Elle le fera strictement dans le cadre des résolutions du Conseil de sécurité des Nations unies.

La risoluzione 2085 del Consiglio di Sicurezza del 20 dicembre scorso ha autorizzato l’invio in Mali di una forza militare, essenzialmente africana, di 3000 uomini, invitando al tempo stesso il governo maliano a impegnarsi in un processo di riconciliazione politica e in una negoziazione con i gruppi armati del Nord del paese che si sarebbero dissociati dal terrorismo. Il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian non ha ancora reso noto i dettagli militari dell’operazione e Parigi mantiene il più assoluto riserbo sul numero dei soldati francesi impiegati. Secondo l’analista militare Jean-Dominique Merchet, autore del blog Secret Défense, la Francia può contare sulle forze aeree già stanziate nella capitale del Ciad N’Djamena per affrontare il centinaio di carri 4×4 a disposizione delle formazioni islamiste. I rapidi sviluppi sul terreno sono seguiti dal ministro Le Drian e dal segretario alla Difesa Usa Leon Panetta, che sono in contatto costante.

Intanto, come riportano in queste ore le agenzie internazionali, forze speciali dell’esercito francese hanno compiuto nella notte fra venerdì e sabato un raid in Somalia per tentare di liberare un ostaggio francese, con lo scopo dichiarato di spianare la strada alle operazioni in Mali. Il commando ha operato con il sostegno di quattro elicotteri militari contro un’abitazione di Bulomarer, una località controllata dagli islamisti di Al Chabaab, situata a 110 chilometri a Sud di Mogadiscio. L’ostaggio è rimasto ucciso e nell’operazione hanno perso la vita anche due soldati francesi e 17 fondamentalisti islamici. Altri otto cittadini francesi sono ancora in mano a diverse formazioni islamiste e aumentano in queste ore i timori che l’intervento militare lanciato da Hollande possa comprometterne la sorte.

La diplomazia internazionale è freneticamente al lavoro. Il Ministro degli Esteri britannico William Hague ha appena scritto su Twitter che “il Regno Unito sostiene la decisione francese di portare assistenza al governo maliano che fronteggia i ribelli”. Gli Stati Uniti, per bocca del portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Tommy Vietor, hanno fatto sapere che “noi condividiamo l’obiettivo francese d’impedire ai terroristi di beneficiare di un santuario nella regione”. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha preso atto di questo “grave peggioramento della situazione” e ha lanciato un appello agli Stati membri per “aiutare le forze di difesa e di sicurezza maliane a ridurre la minaccia rappresentata dalle organizzazioni terroriste e dai gruppi ad esse affiliati”.

Nelle dichiarazioni che stanno giungendo in queste ore, l’improvvisa accelerazione impressa dall’intervento francese in Mali si richiama ancora una volta all’esigenza dell’intervento umanitario. Gérard Araud, ambasciatore francese presso le Nazioni Unite, ha prontamente dichiarato che “sono in gioco la sopravvivenza del governo maliano e la protezione della popolazione civile, è dunque urgente agire contro questa minaccia”. Ma, come ricordato anche su questo blog, un intervento armato non è mai puramente umanitario e dietro le ragioni umanitarie (protezione della popolazione civile, aiuti sanitari, ristabilimento dei diritti civili) si nascondono spesso altre motivazioni, più propriamente politiche o strategiche.

Per il momento, Hollande ha il pieno sostegno dell’opinione pubblica e delle principali forze politiche del suo paese. Ma mentre la Francia domanda un’accelerazione internazionale, come già avvenuto per il caso della Libia nel marzo 2011, il Mali si profila come un possibile nuovo Afghanistan per la diplomazia occidentale. Già nei mesi scorsi, la mediazione della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale (Ecowas) aveva mostrato come la risoluzione 2085 del Consiglio di Sicurezza fosse un “gigante dai piedi d’argilla”. Anche Romano Prodi, inviato speciale delle Nazioni Unite in Sahel, ha in diverse occasioni messo in guardia dai rischi di una possibile accelerazione repentina, affermando che una forza di pace internazionale non potrebbe essere schierata prima del settembre 2013.

Di fronte al nuovo scenario che si è aperto nelle ultime ore con la presa di Konna da parte delle forze jihadiste, l’iniziativa francese per ristabilire l’integrità territoriale in Mali suscita forte inquietudine in quegli osservatori che nelle ultime settimane hanno segnalato l’impreparazione logistica e di intelligence legate all’azione, come ha fatto ad esempio Philippe Leymarie nel suo blog su «Le Monde diplomatique». Le organizzazioni umanitarie temono dal canto loro un’ulteriore, devastante, catastrofe umanitaria nel cuore dell’Africa. Nelle prossime ore capiremo se i nuovi eufemismi proliferati in Occidente in anni recenti, dalla “guerra preventiva” (la guerra che servirebbe per preparare la pace) alla “guerra umanitaria” (svolta in difesa della popolazione civile), dai “bombardamenti chirurgici” alle “armi intelligenti” (che vorrebbero ridurre al minimo le perdite umane), serviranno per descrivere questo nuovo intervento occidentale in Africa. Per il momento, nonostante le dichiarazioni rilasciate da Hollande in Algeria soltanto un mese fa, la «grandeur» francese si impone ancora una volta, sulla pelle altrui.

_________________

Iscrivendosi alla newsletter di questo blog è possibile ricevere per mail una notifica sugli articoli di prossima pubblicazione.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter