Un argomento spesso tralasciato quando si commenta la politica europea è quello della narrativa, dell’emozionalità che la politica a livello comunitario trasmette. Non bisogna essere Manuel Castells per intuire che non esistono solo sondaggi, numeri e metodi quantitativi nelle scienze sociali. C’è anche la retorica, e ce n’è davvero tanta in alcuni momenti della politica. In Europa, invece, questa parte del discorso politico, dal Presidente del Conisglio Europeo fino al più sconosciuto parlamentare europeo, rimane spesso nascosta, se non inesistente. Non la salvano gli haiku di Van Rompuy, insomma. Sì, certo, c’è la retorica istituzionale che si richiama alla triade dei Padri fondatori (Adenauer, Schuman, De Gasperi) che si esplica nel corso delle grandi occasioni, oppure lo speech writing difficile e verboso dei personaggi più in vista, come il Presidente della Commissione Europea Barroso, per il quale parlano i suoi ultimi tre State of the Union.
Leggendo un articolo piuttosto ben scritto qualche mese fa dall’attuale Communications Officer del think tank brussellese Bruegel (uno dei migliori e più avanzati a livello di ricerca applicata che ci siano al momento in Europa) vengono quasi automatici un paio di spunti piuttosto interessanti, che spiegano da una parte la cronica scarsa presa dell’Unione Europea da un punto di vista emotivo sull’opinione (ma soprattutto sulla pancia) pubblica, dall’altro il successo (effimero?) che la retorica cosiddetta populista riesce ad avere su larghe fasce della popolazione. E si sfati un mito: populista è concetto che puzza di America, Russia e Ottocento. Qui lo si usa, ma, per chiarezza espositiva, lo si consideri sempre come ben virgolettato.
In primo luogo, nell’articolo si fa riferimento ad un potenziale Aaron Sorkin europeo, calato nella realtà istituzionale forse più lontana dalla politica della West Wing, l’ala della Casa Bianca dove vive il POTUS (President of the United States), luogo mitico, dove si respira decisionismo in ogni parete. Sorkin, tra i migliori scenggiatori americani viventi, è riuscito a trasfondere nel suo racconto della politica americana tutto l’impatto cinematografico da cui questa trae la sua forza attrattiva. Ebbene, cosa accadrebbe se un Aaron Sorkin qualunque volesse ambientare la sua serie TV nelle stanze della “Eurobubble”? Probabilmente poco o nulla, dice l’articolo, perché nessuno si sognerebbe mai di far svolgere una fiction televisiva (per di più rivolta ad una élite come può essere una politica) nelle segrete stanze di Berlaymont o di Justus Lipsius.
Questo è un po’ il problema dei vertici dell’Unione, e dei principali organi di informazione sull’UE in circolazione (Euractiv e European Voice, principalmente): giornali online fatti da pochi, per pochi. Non si discute la qualità: informazioni serie, articoli documentati, giornalisti competenti. Il problema è che forse nemmeno gli eurocrati desiderano davvero solo questo da un sito di news sull’Unione Europea. Nemmeno la grafica stile online shopping aiuta. E la pancia degli europei si allontana, o si riempie di altro.
Di quello che riserva per loro, appunto, il populismo retorico. La sforzata ricerca del consenso, le parole forti, la necessità di trovare il “nemico” schmittiano nell’agone politico, che porta tanto spesso ad una politica plebiscitaria, “grillina” se mi si passa il termine e senza accezione negativa. Se vi fosse più retorica, di quella ciceroniana (actio, elocutio, etc) forte e orgogliosa, probabilmente la capacità degli eurocrati di raccontare il mondo in cui vivono e di spiegarlo a coloro che sono lontani dalla “Brussels bubble” sarebbe migliore. Evitando quindi che la forza propulsiva della retorica venga appaltata soltanto a forze estremiste.
L’arte della manipolazione, stando a Riker, è sottile. Ma può diventare un corpo contundente contro chi non è stato in grado di servirsene alla bisogna. Nel fermento sociale con cui la classe politica dovrà rapportarsi da qui al 2013 brulicano numerosi personaggi che si serviranno della retorica più intransigente per portare acqua al proprio mulino. Gli interventi dell’UE sul proprio marketing non sembrano che algide operazioni di facciata. La chiave per l’uscita dall’impasse? Interazione, interazione, interazione. Con tutti i cittadini europei. O con la maggior parte possibile di essi, dati i deboli mezzi del budget comunitario. Perchè tutto quello che perde la retorica europea è tutto quello che guadagna quella antieuropea.