Ce lo dicono da un po’. Quest’anno i saldi sono decisamente sottotono. Secondo le stime del Codacons, il budget che i consumatori destineranno ai saldi nei mesi di gennaio e febbraio sarà dimezzato rispetto a quello del 2009. Risultato previsto: una riduzione del giro d’affari pari al 15% rispetto al 2012 per il Codacons, quasi del 19% per l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori.
In realtà, non c’è da stupirsi. Come ho già scritto qui, i saldi sono diventati da qualche tempo un rituale vuoto, stanco poiché le occasioni di risparmio si trovano tutto l’anno. Outlet e temporary store propongono prodotti scontati in maniera continuativa e anche gli store tradizionali (dal negozio di abbigliamento di quartiere ai grandi magazzini) realizzano spesso vendite straordinarie.
Naturalmente questa non è l’unica causa della crisi dei saldi. Oggi più che mai pesa la situazione economica complessiva. I consumatori – con pochi soldi in tasca, spaventati per il futuro, preoccupati dall’aggravarsi del carico fiscale – prima di acquistare un nuovo paio di scarpe, pur scontate del 30%, ci pensano due volte.
Ma non è tutto. Anche il modo in cui oggi vengono gestiti incide sul comportamento dei consumatori. Nonostante tante chiacchiere sulla shopping experience, il cliente da saldi continua a essere considerato un po’ di serie B. In molti negozi del lusso (per esempio quelli del quadrilatero della moda a Milano) lo si fa aspettare fuori, in coda, anche se dentro non c’è una folla. Giusto per sottolineare quale privilegio gli è infine concesso.
In molte catene monomarca, invece, si sostituisce il classico sacchetto in carta, con logo in evidenza, con uno, più triste, in plastica, che riporta la scritta “saldi”.
Poi c’è chi tira fuori gli avanzi di magazzino, chi non indica chiaramente i due prezzi (quello originario e quello scontato) e la percentuale di sconto, chi rifiuta di far provare o di cambiare gli articoli venduti in saldo…
Insomma, perché stupirsi se i saldi non funzionano?