È tutto un salire e scendere, andare di lato, avanzare e tornare indietro, questa campagna elettorale. Come non mai un flusso magmatico di posizioni e strategie elettorali si esplicita in una comunicazione che fa della posizione il centro del dibattito politico.
Il prof. È colui che ufficialmente “sale” in politica ma è esattamente il contrario: la sua è una “discesa” in politica. Non lo dice per non copiare chi lo ha fatto cadere (dall’alto verso il basso, guarda caso), ovvero il Berlusconi della discesa in campo.
Monti si pone su un piano più alto, legittimato non solo dalla sua storia personale (il professore) ma anche e soprattutto dalla parentesi del governo tecnico, chiamato a risolvere i guai che quelli là, i partiti e i politici, hanno combinato senza essere in grado di risolverli. Un approccio professorale che mantiene anche in campagna elettorale, nonostante qualche emoticon di troppo nei suoi tweet, qualche battuta non certo istituzionale, qualche candidatura che sa di album delle figurine. L’avanzare della campagna elettorale lo costringe già a sporcarsi le mani con polemiche, attacchi, crisi, a cominciare dalla composizione delle liste a suo sostegno. Destinato a scendere.
Il Cav. È la scheggia impazzita, che muovendosi a zig zag imperversa sulla scena, a cominciare da quella televisiva. Si ritira, si ricandida, ammicca a Monti, poi dice che non può avere un dialogo con lui, si allontana dalla Lega ma alla fine firmano l’accordo, si candida a premier ma anche a fare il ministro. Stavolta non scende dall’alto, piuttosto di lato, rimasto fermo un giro a favore del tecnico Monti. Non è più il superuomo venuto da un’altra dimensione, ma uno al livello degli altri, come un supereroe rimasto senza superpoteri. Solo che non si capisce ancora dove vuole andare.
Il pm. La sua è una rivoluzione civile, cioè dal basso, con tanto di stilizzazione del Quarto stato di Pellizza da Volpedo sotto il nome Ingroia, scritto con le stesse dimensioni di un palazzo di sei piani. Un movimento in salita, dunque, ma che nasconde in realtà una mossa a tenaglia. Alla partecipazione dal basso fa da contraltare una discesa da una posizione più alta, non istituzionale o politica, ma morale. La retorica del magistrato che lotta contro i poteri forti, mutuata dal sodale De Magistris, pone Ingroia su un livello più alto rispetto ai politici, pronto ad arrivare in parlamento portato in spalla come una rockstar che si lancia dal palco durante un concerto.
Il guru. È stato il primo a guidare il moto ascensionale dell’uomo comune in politica, con il suo M5S. Apparentemente un movimento orizzontale, privo di gerarchie grazie al web che mette tutti sullo stesso piano, snodi di una rete senza vette. Se lo strumento azzera le altezze, in realtà, non tutti gli snodi sono uguali, ne rimane uno sopra gli altri che controlla, certifica, sancisce chi, come, dove e quando può partecipare alla presa del potere.
Il PD. Sta fermo al bar, ad aspettare. Dopo il bagno di popolarità avuto con le primarie era prevedibile che il quasi 40% sancito dai sondaggi fosse destinato a scendere all’avvicinarsi del voto e soprattutto con la discesa (o salita che dir si voglia) di nuovi contendenti sulla scena. Il segretario Bersani sa di essere in una posizione più alta rispetto agli avversari, rappresenta il cambiamento affidabile, legittimato da un voto popolare importante. Ma in campagna elettorale le posizioni cambiano al cambiare di quelle degli avversari ed un attendismo eccessivo rischia di erodere il cocuzzolo da cui guarda, dall’alto in basso, la mischia. Finora è comunque l’unico ad aver indicato una direzione anche per il Paese: l’Italia giusta. Un po’ debole, ma pur sempre una direzione.