Non sopporto le critiche!Il Signore del Venerdì: l’esame universitario

Troppe feste. Troppi aperitivi alle quattro di pomeriggio. Troppo poco tempo. La mamma/fidanzata/nonna/vicina di casa/qualsiasidonnaesistente che continuava a chiedere favori. Il complotto delle ba...

Troppe feste. Troppi aperitivi alle quattro di pomeriggio. Troppo poco tempo. La mamma/fidanzata/nonna/vicina di casa/qualsiasidonnaesistente che continuava a chiedere favori. Il complotto delle banche. I Maya.
Trovare una giustificazione al fatto di trovarsi in braghe di tela di fronte ad una sessione d’esami è fin troppo facile.
Si parte sempre allo stesso modo. Volenterosi e decisi. Si è appena presa una trombata astronomica all’esame di febbraio. Mai più, si dice. Ho quattro mesi, si dice. Ce la farò questa volta, si dice. Mi organizzo, si dice.
Parte l’organizzazione scientifica. Attraverso calcoli quantistici rapportanti le dimensioni spazio/tempo degni di un allunaggio, si comincia con il calcolare quante pagine si dovrebbero studiare ogni giorno, di qui a quattro mesi, fino alla data x. A quattro giorni dalla data x, ci si accorge con senso di nausea che sono diventate 380 pagine al giorno. Presi dallo sconforto esistenziale, a quel punto si preferisce investire il tempo restante sulla ricerca della religione che sembra dare più riscontri alle domande dei fedeli.
Data x, quella cerchiata sul calendario quattro mesi prima.
Sai che non hai studiato. Sai che quella figura mitologica del professore universitario sa che tu non sai, e ne godrà manco fosse a cena con Megan Fox.
Durante la colazione ti interroghi sul senso della vita, sulla prospettiva dell’agricoltura, sull’arte di preparare un kebab.
Lo studente universitario risponde alle stesse logiche di un soldato semplice in guerra. Deve andare.
Arrivo in aula. Conati di vomito. Ricomporsi. Pregare un Pantheon appositamente creato sulla base degli studi fatti sulle divinità esistenti al mondo, con una conoscenza che se la metà fosse stata usata per preparare l’esame ne sapresti più del malvagio docente. Fare conoscenze improbabili di altrettanto improbabili compagni di corso, quelli che esistono solo agli appelli d’esame. Interrogarsi se questi improbabili compagni di corso non siano in realtà spie del maligno professore per sapere chi non sa. Decidere di evitare queste persone, con intensi sguardi malevoli rivolti nei loro confronti. Ritirarsi in se stessi. Raggiungere il Nirvana, ovviamente in un posto molto lontano dall’aula d’esame, tipo ad una cena con Megan Fox. Sentire il proprio nome e realizzare con disappunto che non stai per andare a cena con Megan Fox. Svenire, ma non darlo a vedere. Presentarsi con sorriso, che tanto se almeno faccio lo splendido mi prenderà in simpatia. Essere trombati dopo 0,8 secondi netti. Ricevere il guinness world record per la trombata più veloce del mondo. Tornare a casa. “Incredibile mamma, ha bocciato tutti, una carogna guarda. Questi poteri forti…”.
Appena a casa, riparti con i calcoli trigonometrici per il calcolo delle pagine da studiare di qui alla prossima data x. Scopri anche una formula matematica che ti permetterebbe di vincere il premio nobel, ma tu non stai studiando matematica.
Vedi che mancano ancora quattro mesi.
“Ho tempo, un giorno non farà la differenza”.

Ti svegli di soprassalto e ti sembra che manchi una capra dal gregge. Le conti, ci sono tutte.
Hai la sensazione come di aver fatto un brutto sogno.

Agli esami gli sciocchi fanno spesso domande a cui i saggi non sanno rispondere” (Oscar Wilde)

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