Bene e con i pan e vin abbiamo concluso tutte le festività e possiamo rimetterci in marcia, continuare la resistenza, rimboccarci le maniche e proseguire la lotta.
Se i veci han ancora una volta ragione dovrebbe essere un anno positivo visto che le faville dei pan e vin sono andate verso occidente.
Si lo so … è una cosa non scientificamente dimostrabile ma visto che credete a certi economisti, tanto vale credere anche a questo.
Io spero che l’auspicio del pan e vin si confermi, perchè ne abbiamo tutti bisogno.
In questi giorni di mezza festa, di prosecchi e panettoni è successa una cosa qui a Nord Est.
Ha chiuso un’altra realtà storica.
Ha chiuso per i motivi che conosciamo tutti.
Ma ha chiuso nel migliore dei modi, rispecchiando tutto e per tutto l’essere imprenditore VENETO.
Che sia chiaro io son di parte, se non si era capito, ma non per motivi secessionistici o pseudo leghisti ma perchè son parte di questa terra, di questo momento storico che stiamo vivendo.
Che sia chiaro che gli imprenditori veneti non sono nè unti dal Signore, nè la bibbia vivente del fare impresa e nel 60% dei casi il fallimento o la crisi delle loro aziende è colpa-merito loro .
Ma io non riesco a non volergli bene per quanto son la prima a bacchettarli e criticarli.
In questi giorni ha chiuso Rampon.
Ai foresti (non veneti) forse non dirà nulla ma a noi è un altro pezzetto che viene a mancare.
Ma viene a mancare con la DIGNITA’ di un imprenditore che come ultimo messaggio prima di fare tre giri di chiave alla porta del capannone lascia in spirituale eredità a tutti i suoi simili delle parole guida che rimbombano prima nel cuore e dopo nell’anima:
«Non abbiate paura di chiudere l’azienda guardando negli occhi i vostri operai»
E qui, in queste parole c’è tanto Veneto. C’è tutto il Veneto. C’è il senso dell’imprenditore veneto.
Gli operai. I dipendenti.
Il capitale di un’azienda possono essere si i macchinari, gli immobili, i vari brevetti, i conti +/- in ordine, ma la voce più importante rimangono LE PERSONE.
Per quanto il modello “grande fameja” sia uno dei primi colpevoli del fallimento del fenomeno nord-est, qui c’è. E’ vivo.
Quelli che lo scorso anno sono andati avanti, in più di un’occasione hanno lasciato le ultime parole e scuse ai dipendenti. Non ai famigliari. Agli operai. Ai dipendenti.
E questo rapporto di amore-odio tra paron e dipendente è una cosa esclusiva delle pmi. Nelle grandi aziende il paron non conosce il nome dei suoi dipendenti.
Qui anche se li chiamano “tosi” o “coso” sanno con chi hanno a che fare. Conoscono le storie di ogni dipendente.
Delle loro famiglie.
In una grande azienda non credo.
E il fenomeno nord-est ha reso ricchi sia il paron che gli operai. Col nero anche i secondi. Che magari protestano contro gli evasori ma che andavano a prendersi le straordinarie fuori busta senza fare cheo.
Che col nero facevano girare l’economia.
Che dopo il senso di riconoscenza da una parte e dall’altra non ci sia sempre stato son d’accordo. Ma fa parte del gioco. Mi son el paron e ti el dipendente.
Di Rampon imprenditore mi piace sottolineare anche questo:
“la crisi continua e in queste condizioni se tieni duro va a finire che ti fai male. Magari non solo tu, ma fai male anche agli altri”
Questo senso di responsabilità, questa presa di coscenza che a volte bissogna avere il coraggio, la forza e i coglioni di dire basta.
Di staccare la spina all’impresa.
Di dargli l’ultimo bacio in fronte e accompagnarla alla morte.
Di bruciarla sopra un pan e vin e guardare e faive ndar a sera per un futuro migliore, per dare un senso a tutto quello che è stato.
Grazie Mister Rampon soprattutto per averci messo la faccia e il cuore ed essere stato veneto.